Allergie professionali, un italiano su cinque soffre di qualche intolleranza
Allergia ai cibi, allergia al polline, ai detergenti, ai metalli, agli animali; nasce un vero network delle allergie dall’età infantile a quella adulta. Aumentano le cosiddette “allergie professionali”.
UN ITALIANO SU CINQUE SOFFRE DI QUALCHE INTOLLERANZA
A cibi, polline, detergenti, metalli, animali. Ecco in che modo scoprire cosa ci fa male. E come comportarsi.
Sei persone a cena. Normale, no? Mica tanto. Perché oggi anche una cenetta tra amici può trasformarsi in uno psicodramma: c'è quello intollerante al glutine, quello allergico al pesce, ai crostacei o al latte vaccino; se non addirittura al nichel con cui sono fatte molte pentole e padelle. E quando pensate di aver compiuto il miracolo allestendo un menù e acquistando pentole che tengano conto di tutto ciò, preparatevi a vedere un ospite gonfiarsi e lacrimare per colpa del micio a pelo lungo. O magari un altro riempirsi di bolle dopo essersi lavato le mani con un normale sapone profumato in bagno.
Esageriamo? No, perché le ultime stime degli epidemiologici calcolano che il 20-25 per cento della popolazione italiana soffre di qualche forma di allergia o intolleranza. Un italiano su cinque, insomma, a tenersi stretti. Tutti veri allergici? O forse più di qualcuno solo nevroticamente ossessionato da piccoli sintomi di normale reazione al mondo che ci circonda?
Vale, insomma, la pena di discettare di sistema immunitario se un cibo ci risulta un po' pesante o ci da fastidio la polvere? Oppure, come facciamo a capire quello che davvero ci fa male e a evitarlo? Lo abbiamo chiesto ad allergologi e immunologi per capire se siamo davvero un paese di allergici e perché.
Se il cibo è un nemico Allergie alimentari, intolleranze o mal di pancia? La confusione è tanta. Molti, infatti, attribuiscono a un'allergia sintomi che non riescono a spiegare in altro modo. Ma i veri allergici sono relativamente pochi: il 2-4 per cento dei bambini, e circa il 2 per cento degli adulti. In totale, sei milioni di italiani, spesso vittime di sintomi anche molto gravi.
Gli imputati principali sono uova, latte, pesce, crostacei, arachidi, nocciole, soia e frumento; talvolta le sostanze incriminate possono non essere dichiarate sulle confezioni ed essere difficili da evitare. Per esempio i dolciumi possono contenere sesamo, lino, arachidi, nocciole, papavero o mandorle. Alcune proteine, invece, sono usate come additivi: la papaina nella birra o le proteine del latte nel brodo di pollo, nei salumi o nel tonno in scatola.
Attenzione particolare, poi, la devono fare quanti soffrono già di allergie respiratorie: per loro la probabilità di essere soggetti anche a quelle alimentari è superiore alla media. Per esempio, chi è allergico al polline di parietaria non può mangiare il melone né la banana, chi a quello di artemisia si può scordare il sedano e chi invece reagisce alla betulla non può assaporare una pesca. Per diagnosticare precisamente un'allergia alimentare - in assenza di sintomi particolarmente gravi come lo shock anafilattico - si deve identificare l'alimento o una serie di alimenti sospetti che vengono eliminati dalla dieta e poi reintegrati gradualmente uno per volta. Successivamente si cerca una conferma attraverso i test cutanei, come il prick test o il prick by prick nei quali si "graffia" la pelle del paziente con piccole concentrazioni di sostanze da esaminare per provocare una eventuale reazione, o effettuando esami del sangue. Per diagnosticare le allergie alimentari serve un esperto. Il rischio è quello di classificare come allergie patologie diverse, come intolleranze ad alimenti o additivi, ma anche disturbi gastrointestinali, come la sindrome dell'intestino irritabile, o psicosomatici.
Gli allergologi dell'Università di Wurzburg in Germania hanno condotto uno studio ad hoc su oltre 400 pazienti considerati allergici, scoprendo che solo la metà di loro soffriva di una vera allergia. I cibi incriminati erano in maggioranza frutta o vegetali, noci e frumento, e i pazienti presi in esame manifestavano sintomi diversi, da orticaria a edema o disturbi gastrointestinali. «Spesso vengono confuse per allergie le intolleranze alimentari, che invece non coinvolgono il sistema immunitario ma possono essere dovute alla mancanza di un enzima (congenita o acquisita) che riesce a convenire una molecola in un'altra, e sono quasi sempre meno pericolose», spiegano i responsabili della Siaic, Società Italiana di Allergologia ed immunologia clinica riuniti da domani 30 Settembre a Perugia.
Le intolleranze più diffuse sono quelle al lattosio, lo zucchero del latte, al glutine, ad alcuni conservanti e additivi alimentari come i solfiti, che sono spesso presenti nel vino e in altre bevande alcoliche. Per i vini in bottiglia da qualche anno è obbligatorio che la presenza di solfiti sia segnalata in etichetta perché possono dare reazioni anche importanti di tipo asmatico o cardiovascolari con calo della pressione. «Purtroppo le intolleranze vanno molto di moda. Ma sono poche quelle che possono essere diagnosticate in maniera rigorosa», sottolinea Donatella Macchia, allergologa dell'azienda ospedaliera di Firenze e membro direttivo Siaic.
Per questo gli esperti mettono in guardia sia da test ritenuti poco attendibili, ma ugualmente proposti da alcuni laboratori, sia da kit fai-da-te acquistabili on line o in farmacia: test che non hanno alcuna validità scientifica riconosciuta, come il dria test o i più famosi vega test e test citotossico. Il primo si basa sul principio che l'assunzione per bocca dell'alimento a cui si è intolleranti provochi una diminuzione della forza di contrazione muscolare, il secondo sulle variazioni di resistenza elettrica della pelle. Non si tratta di test invasivi o rischiosi, ma non hanno alcun fondamento medico e possono portare un paziente a seguire una dieta non equilibrata privandosi di nutrienti fondamentali.
«Soprattutto, la moda delle intolleranze è pericolosa per i soggetti veramente allergici», fa notare ancora Macchia: «Se in una scolaresca ci sono un paio di bambini allergici al latte vaccino o all'uovo è facile prestargli attenzione; se invece ce ne sono altri dieci che hanno fatto il test citotossico e dicono di essere intolleranti uno al pomodoro, uno ai fagiolini, uno agli spinaci, si rischia di perdere di vista quello che è davvero allergico, mettendo a rischio la sua salute».
Non solo: è ovvio che tormentare un bambino con presunte intolleranze significa distorcere il suo rapporto col cibo, e magari anche non vedere problemi gastrointestinali, piccoli o grandi, che potrebbero essere rapidamente risolti con una seria diagnosi. «Servirebbero regole precise», commenta Macchia. Che non ci sono.
E in questa giungla l'ultima parola ce l'ha il business. Prodotti alimentari, negozi specializzati, gelaterie per allergici spuntano come funghi nelle città italiane, dove un litro di latte senza lattosio può arrivare a costare quasi tre euro. E il mercato è in netta crescita. Secondo le stime dell'Euromonitor, grazie alla crescente diffusione di allergie e intolleranze alimentari, entro il 2014 il mercato aumenterà del 21,5 per cento.
C'è un pericolo nell'aria Ad essere in aumento, secondo gli esperti sono però soprattutto le patologie respiratorie, che rappresentano la stragrande maggioranza delle allergie. «Nel 2020, il 50 per cento dei ragazzi soffrirà di rinite allergica», sottolinea Massimo Triggiani vicepresidente della SIAIC «Per ora siamo oltre il 25 per cento e il trend di crescita è maggiore per la rinite allergica che non per l'asma». Un esercito di fazzoletti. E gente che starnutisce, soprattutto in primavera, la stagione dei pollini.
Ma non solo: in questi giorni, per esempio, Milano è in preda a una vera epidemia di allergia causata dall'ambrosia, pianta infestante che fiorisce tra agosto e ottobre, cui sono sensibili oltre 300 mila lombardi, tra i quali il 15 per cento delle persone che vivono vicino a Varese. L'ambrosia è particolarmente fastidiosa per chi è allergico perché da sintomi persistenti, e ha una straordinaria capacità di diffondersi per esempio attaccando i suoi semi alle gomme delle automobili e viaggiando così in austostrada. Un tempo confinata nel territorio regionale, ora è segnalata in Piemonte, nella provincia di Novara e in Emilia, nel Piacentino. Regione e Comune di Milano, per cercare di contenerne l'inarrestabile diffusione, hanno istituito appositi osservatori.
Fortunatamente, le allergie respiratorie possono essere diagnosticate con una certa sicurezza attraverso i test cutanei, per esempio il patch test che consiste nell'applicare le sostanze sospette su una zona limitata di cute in modo da scatenare una minima reazione. I risultati vengono poi confermati con esami del sangue che ricercano anticorpi specifici. In seguito alla diagnosi, poi, è possibile, soprattutto nei casi in cui i sintomi siano gravi e abbassino notevolmente la qualità della vita, vaccinarsi.
«I vaccini hanno un ruolo chiave, ed esistono per quasi tutte le allergie respiratorie», spiega Triggiani: «Una volta i vaccini si assumevano per via sottocutanea, ora ha preso il sopravvento il vaccino sublinguale». L'unico problema è che la terapia è molto costosa: fino a 300 euro l'anno. Una spesa non per tutti sostenibile. In alcune regioni, però, come la Lombardia, i vaccini sono gratuiti; in altre, per esempio Piemonte e Toscana, lo sono solo in parte. Acqua e non sapone ira detergenti, creme, malie up e profumi, una donna (ma anche un uomo) riversa ogni mattina sulla sua pelle centinaia di sostanze. A queste si aggiungono quelle contenute nei gioielli, nei coloranti dei tessuti o nei detersivi.
Un attacco a 360 gradi a cui spesso la pelle reagisce con prurito, gonfiore, arrossamento e talvolta con la comparsa di piccole bollicine. Tanto che le dermatiti allergiche e irritative da contatto sono tra le più comuni affezioni dermatologiche. In Italia, secondo i dati della Sidapa (Società italiana di dermatologia allergologica professionale e ambientale) il 40 per cento delle dermatiti non professionali è dovuta ai cosmetici, nel 29 agli accessori metallici, nel 14 ai tarmaci e circa nel 9 ai capi di abbigliamento. Secondo Riccarda Serri, presidente di Skineco (Associazione internazionale di dermatologia ecologica), pazienti con queste patologie si presentano spessissimo ai dermatologi. Frequentemente, i responsabili sono i prodotti per lo skincare (creme idratanti, antirughe, esfolianti, detergenti e lozioni che non si risciacquano), seguiti da profumi e i prodotti per capelli. Il fenomeno è così diffuso che le grandi maison della cosmesi hanno in portafolio linee allergy-free appositamente formulate per i clienti soggetti a queste forme di allergie. Non solo. «Alcuni agenti possono trovarsi in indumenti provenienti dall'estero dove vigono meno controlli, che contengono coloranti e metalli pesanti non dichiarati, oppure in capi di abbigliamento mal risciacquati che contengono ancora tracce di detersivo», spiega Serri: «Determinare con precisione cosa scatena un'allergia non è facile proprio perché la pelle è sottoposta a tantissimi stimoli. Quindi, quando arriva un paziente con una dermatite, si deve fare una lunga indagine. È una specie di spy story. Poi per essere certi di aver individuato il colpevole si eseguono i test sulla pelle ed eventualmente gli esami del sangue».
SOS SMOG
Molti e imponenti studi mostrano il legame tra inquinamento atmosferico e indoor e aumento delle diverse allergie (respiratorie, della pelle, degli occhi e cosi via). E negli ultimi anni gli scienziati hanno capito anche il perché: gli inquinanti contengono sempre minuscole particene oleose che funzionano come veri e propri solventi per i pollini e per le altre sostanze in grado di scatenare una reazione allergica. A ciò contribuiscono poi le condizioni atmosferiche, le alterazioni nella fioritura dovute dalle mutazioni climatiche, il fumo attivo e passivo, i contaminanti naturali. Risultato: chi vive in città è di norma esposto a una miscela terrificante e questo spiega come mai le allergie aumentano soprattutto nelle aree metropolitane, con l'eccezione delle città che adottano adeguate politiche ambientali. In uno studio condotto da Hywel Williams dell'Università di Nottingham su circa 300 mila ragazzi di 13-14 anni di 55 paesi e 190 mila tra i sei e sette anni di 35 paesi, seguiti nel tempo presso centri per la cura delle allergie, si è visto chiaramente • che il calo più vistoso dei casi di dermatite allergica si ha nei paesi europei come Inghilterra, Irlanda, Germania, Svezia, che stanno cercando di migliorare l'aria delle città, mentre l'incremento più significativo è in Messico, Cile, Kenya, Algeria e nel Sud-est asiatico. Tra i gas più pericolosi: l'anidride solforosa, gli aerosol acidi, gli ossidi di azoto, l'ozono, i PM10 e le particene emesse dalle auto diesel. Agnese Codignola.
SCOPRI SE SEI A RISCHIO
I test per diagnosticare un'allergia o un'intolleranza SCIENTIFICI P r i c k tost: serve per individuare alimenti o inalanti che provocano allergie. Con una piccola puntura, si mettono alcune gocce della sostanza incriminata sulla pelle, di solito quella interna dell'avambraccio. La comparsa entro 20 minuti di gonfiore e arrossamelo localizzato indica che vi è stata reazione. Prick prick: si impiega per valutare gli alimenti freschi, come frutta e verdura. Si punge prima l'alimento e poi la cute del paziente. Palchlesi: consiste nell'applicazione, solitamente sulla schiena del paziente, di una serie di cerotti contenenti le sostanze che possono scatenare reazioni allergiche da contatto. Dopo 48-72 ore la comparsa di un arrossamelo permette di identificare a cosa è allergico il paziente. Rast test: è un esame del sangue. Ricerca in maniera mirata specifici anticorpi della famiglia delle immunoglobuline E (IgE), che indicano che il corpo reagisce a una determinata sostanza. Viene usato per confermare un'allergia respiratoria e in minor misura alimentare.
SCATENAMENTO: si somministrano per bocca piccole dosi crescenti dell'alimento sospetto in modo da scatenare una reazione allergica controllata. Si effettua sempre nello studio medico o in ospedale in modo che sia possibile intervenire in caso di reazioni gravi. Breath test: si impiega soprattutto per la diagnosi di intolleranza al lattosio. Dopo che il paziente ha ingerito una precisa quantità di lattosio si esamina l'aria espirata misurando la presenza di eventuali gas generati dalla fermentazione dello zucchero non digerito.
SCIENTIFICI Dria test: misura la forza di contrazione muscolare prima e dopo la somministrazione di gocce dell'alimento sospettato di dare intolleranza. Una diminuzione della forza dovrebbe indicare una possibile intolleranza. Non ci sono prove scientifiche. Cytotest o test citotossico: è un esame del sangue che valuta la reazione dei globuli bianchi a contatto con l'alimento sospetto. Si basa sulla teoria che in presenza della sostanza che provoca la reazione allergica i globuli bianchi si modifichino o si rompano. Non ci sono prove scientifiche. Vega test: misura la resistenza elettrica delle pelle nei punti di agopuntura del corpo umano. Questa resistenza dovrebbe subire modificazioni a contatto con la sostanza allergizzante. Altri test elettrodiagnostici simili sono il Sarm, l'elettroagopuntura secondo Voli, e il Mora test. Per nessuno di questi ci sono prove scientifiche. Pulse test: si basa sull'assunto che una sostanza allergizzante sia in grado di modificare la frequenza cardiaca. Dopo la somministrazione per iniezione, per bocca o per inalazione si controlla la frequenza cardiaca del paziente. Non ci sono prove scientifiche. Riflesso del polso di oiger: ponendo delle parti di alimento su determinate zone della cute si dovrebbero osservare, in presenza di un'ipersensibilità all'alimento, variazioni nella pulsazione che si avverte sul polso. Non ci sono prove scientifiche.
I DANNI DELL'IGIENE
Quando, nel 1989, l'allergologo David P. Strachan, del Department of Public Health Sciences della St. George's Hospital Medicai School di Londra, ha pubblicato il suo articolo sulla teoria igienica sul "British Medicai Journal", molti l'hanno letto come una provocazione. Strachan infatti sosteneva che la causa primaria dell'aumento esponenziale dei casi di dermatite e di febbre da fieno registrato un po' in tutti i paesi occidentali, e soprattutto nelle aree metropolitane, fosse da ricercare non tanto in qualche misteriosa nuova epidemia, quanto nell'ossessione, tipica appunto dei cittadini più istruiti e benestanti, per l'igiene, che portava a sterilizzare tutto fino dalla primissima infanzia, ad abusare degli antibiotici e a spargere ovunque potenti detergenti domestici.
Vivendo in un ambiente privo di germi e di sostanze estranee - spiegava Strachan - il sistema immunitario dei bambini non riesce a maturare perché non incontra abbastanza nemici proprio nel momento in cui dovrebbe capire in che senso evolvere. Ciò fa sì che quando gli stessi stimoli vengono a contatto con l'organismo, in età successive, le difese non siano predisposte adeguatamente e il pericolo di cortocircuito - cioè di allergia - aumenti in modo drammatico. Sembrava un po' una boutade antimodernista, ma il tempo ha dato ragione all'allergologo inglese. In questi vent'anni sono aumentate le prove a sostegno della teoria igienica ed è stato dimostrato negli animali prima, e nell'uomo poi, che per un organismo immaturo come quello di un bambino è fondamentale ricevere i giusti stimoli per predisporre adeguate batterie di difensori (cioè di anticorpi).
Non solo: si è scoperto che l'uomo si è evoluto insieme a batteri, virus e vermi, e che per questo, anche oggi, non può farne a meno, ma necessita da una parte della flora batterica cosiddetta buona e dall'altra, appunto, di contatti continui con un mondo che non deve essere asettico.
Negli ultimi anni ulteriori dimostrazioni sono venute da studi su chi cresce in campagna, meno soggetto alle allergie di chi nasce in città, nonché da moltissime ricerche che mostrano che l'assunzione di batteri buoni, per esempio attraverso i probiotici (ceppi selezionati di flora batterica intestinale) oppure i prebiotici (gli stessi uniti però a sostanze e sali che ne favoriscono lo sviluppo), ha molteplici ricadute positive sulla salute in generale e sulle allergie in particolare.
A perugia dal 30 settembre al 2 Ottobre la SIAIC, Società Italiana Allergologia ed Immunologia Clinica, a congresso con il meglio della ricerca italiana e degli specialisti ospedalieri.
"La Qualità della vita degli italiani sotto osservazione. Nasce un vero network delle allergie dall’età infantile a quella adulta. Aumentano le cosiddette “allergie professionali”.
UN ITALIANO SU CINQUE SOFFRE DI QUALCHE INTOLLERANZA
A cibi, polline, detergenti, metalli, animali. Ecco in che modo scoprire cosa ci fa male. E come comportarsi.
Sei persone a cena. Normale, no? Mica tanto. Perché oggi anche una cenetta tra amici può trasformarsi in uno psicodramma: c'è quello intollerante al glutine, quello allergico al pesce, ai crostacei o al latte vaccino; se non addirittura al nichel con cui sono fatte molte pentole e padelle. E quando pensate di aver compiuto il miracolo allestendo un menù e acquistando pentole che tengano conto di tutto ciò, preparatevi a vedere un ospite gonfiarsi e lacrimare per colpa del micio a pelo lungo. O magari un altro riempirsi di bolle dopo essersi lavato le mani con un normale sapone profumato in bagno.
Esageriamo? No, perché le ultime stime degli epidemiologici calcolano che il 20-25 per cento della popolazione italiana soffre di qualche forma di allergia o intolleranza. Un italiano su cinque, insomma, a tenersi stretti. Tutti veri allergici? O forse più di qualcuno solo nevroticamente ossessionato da piccoli sintomi di normale reazione al mondo che ci circonda?
Vale, insomma, la pena di discettare di sistema immunitario se un cibo ci risulta un po' pesante o ci da fastidio la polvere? Oppure, come facciamo a capire quello che davvero ci fa male e a evitarlo? Lo abbiamo chiesto ad allergologi e immunologi per capire se siamo davvero un paese di allergici e perché.
Se il cibo è un nemico Allergie alimentari, intolleranze o mal di pancia? La confusione è tanta. Molti, infatti, attribuiscono a un'allergia sintomi che non riescono a spiegare in altro modo. Ma i veri allergici sono relativamente pochi: il 2-4 per cento dei bambini, e circa il 2 per cento degli adulti. In totale, sei milioni di italiani, spesso vittime di sintomi anche molto gravi.
Gli imputati principali sono uova, latte, pesce, crostacei, arachidi, nocciole, soia e frumento; talvolta le sostanze incriminate possono non essere dichiarate sulle confezioni ed essere difficili da evitare. Per esempio i dolciumi possono contenere sesamo, lino, arachidi, nocciole, papavero o mandorle. Alcune proteine, invece, sono usate come additivi: la papaina nella birra o le proteine del latte nel brodo di pollo, nei salumi o nel tonno in scatola.
Attenzione particolare, poi, la devono fare quanti soffrono già di allergie respiratorie: per loro la probabilità di essere soggetti anche a quelle alimentari è superiore alla media. Per esempio, chi è allergico al polline di parietaria non può mangiare il melone né la banana, chi a quello di artemisia si può scordare il sedano e chi invece reagisce alla betulla non può assaporare una pesca. Per diagnosticare precisamente un'allergia alimentare - in assenza di sintomi particolarmente gravi come lo shock anafilattico - si deve identificare l'alimento o una serie di alimenti sospetti che vengono eliminati dalla dieta e poi reintegrati gradualmente uno per volta. Successivamente si cerca una conferma attraverso i test cutanei, come il prick test o il prick by prick nei quali si "graffia" la pelle del paziente con piccole concentrazioni di sostanze da esaminare per provocare una eventuale reazione, o effettuando esami del sangue. Per diagnosticare le allergie alimentari serve un esperto. Il rischio è quello di classificare come allergie patologie diverse, come intolleranze ad alimenti o additivi, ma anche disturbi gastrointestinali, come la sindrome dell'intestino irritabile, o psicosomatici.
Gli allergologi dell'Università di Wurzburg in Germania hanno condotto uno studio ad hoc su oltre 400 pazienti considerati allergici, scoprendo che solo la metà di loro soffriva di una vera allergia. I cibi incriminati erano in maggioranza frutta o vegetali, noci e frumento, e i pazienti presi in esame manifestavano sintomi diversi, da orticaria a edema o disturbi gastrointestinali. «Spesso vengono confuse per allergie le intolleranze alimentari, che invece non coinvolgono il sistema immunitario ma possono essere dovute alla mancanza di un enzima (congenita o acquisita) che riesce a convenire una molecola in un'altra, e sono quasi sempre meno pericolose», spiegano i responsabili della Siaic, Società Italiana di Allergologia ed immunologia clinica riuniti da domani 30 Settembre a Perugia.
Le intolleranze più diffuse sono quelle al lattosio, lo zucchero del latte, al glutine, ad alcuni conservanti e additivi alimentari come i solfiti, che sono spesso presenti nel vino e in altre bevande alcoliche. Per i vini in bottiglia da qualche anno è obbligatorio che la presenza di solfiti sia segnalata in etichetta perché possono dare reazioni anche importanti di tipo asmatico o cardiovascolari con calo della pressione. «Purtroppo le intolleranze vanno molto di moda. Ma sono poche quelle che possono essere diagnosticate in maniera rigorosa», sottolinea Donatella Macchia, allergologa dell'azienda ospedaliera di Firenze e membro direttivo Siaic.
Per questo gli esperti mettono in guardia sia da test ritenuti poco attendibili, ma ugualmente proposti da alcuni laboratori, sia da kit fai-da-te acquistabili on line o in farmacia: test che non hanno alcuna validità scientifica riconosciuta, come il dria test o i più famosi vega test e test citotossico. Il primo si basa sul principio che l'assunzione per bocca dell'alimento a cui si è intolleranti provochi una diminuzione della forza di contrazione muscolare, il secondo sulle variazioni di resistenza elettrica della pelle. Non si tratta di test invasivi o rischiosi, ma non hanno alcun fondamento medico e possono portare un paziente a seguire una dieta non equilibrata privandosi di nutrienti fondamentali.
«Soprattutto, la moda delle intolleranze è pericolosa per i soggetti veramente allergici», fa notare ancora Macchia: «Se in una scolaresca ci sono un paio di bambini allergici al latte vaccino o all'uovo è facile prestargli attenzione; se invece ce ne sono altri dieci che hanno fatto il test citotossico e dicono di essere intolleranti uno al pomodoro, uno ai fagiolini, uno agli spinaci, si rischia di perdere di vista quello che è davvero allergico, mettendo a rischio la sua salute».
Non solo: è ovvio che tormentare un bambino con presunte intolleranze significa distorcere il suo rapporto col cibo, e magari anche non vedere problemi gastrointestinali, piccoli o grandi, che potrebbero essere rapidamente risolti con una seria diagnosi. «Servirebbero regole precise», commenta Macchia. Che non ci sono.
E in questa giungla l'ultima parola ce l'ha il business. Prodotti alimentari, negozi specializzati, gelaterie per allergici spuntano come funghi nelle città italiane, dove un litro di latte senza lattosio può arrivare a costare quasi tre euro. E il mercato è in netta crescita. Secondo le stime dell'Euromonitor, grazie alla crescente diffusione di allergie e intolleranze alimentari, entro il 2014 il mercato aumenterà del 21,5 per cento.
C'è un pericolo nell'aria Ad essere in aumento, secondo gli esperti sono però soprattutto le patologie respiratorie, che rappresentano la stragrande maggioranza delle allergie. «Nel 2020, il 50 per cento dei ragazzi soffrirà di rinite allergica», sottolinea Massimo Triggiani vicepresidente della SIAIC «Per ora siamo oltre il 25 per cento e il trend di crescita è maggiore per la rinite allergica che non per l'asma». Un esercito di fazzoletti. E gente che starnutisce, soprattutto in primavera, la stagione dei pollini.
Ma non solo: in questi giorni, per esempio, Milano è in preda a una vera epidemia di allergia causata dall'ambrosia, pianta infestante che fiorisce tra agosto e ottobre, cui sono sensibili oltre 300 mila lombardi, tra i quali il 15 per cento delle persone che vivono vicino a Varese. L'ambrosia è particolarmente fastidiosa per chi è allergico perché da sintomi persistenti, e ha una straordinaria capacità di diffondersi per esempio attaccando i suoi semi alle gomme delle automobili e viaggiando così in austostrada. Un tempo confinata nel territorio regionale, ora è segnalata in Piemonte, nella provincia di Novara e in Emilia, nel Piacentino. Regione e Comune di Milano, per cercare di contenerne l'inarrestabile diffusione, hanno istituito appositi osservatori.
Fortunatamente, le allergie respiratorie possono essere diagnosticate con una certa sicurezza attraverso i test cutanei, per esempio il patch test che consiste nell'applicare le sostanze sospette su una zona limitata di cute in modo da scatenare una minima reazione. I risultati vengono poi confermati con esami del sangue che ricercano anticorpi specifici. In seguito alla diagnosi, poi, è possibile, soprattutto nei casi in cui i sintomi siano gravi e abbassino notevolmente la qualità della vita, vaccinarsi.
«I vaccini hanno un ruolo chiave, ed esistono per quasi tutte le allergie respiratorie», spiega Triggiani: «Una volta i vaccini si assumevano per via sottocutanea, ora ha preso il sopravvento il vaccino sublinguale». L'unico problema è che la terapia è molto costosa: fino a 300 euro l'anno. Una spesa non per tutti sostenibile. In alcune regioni, però, come la Lombardia, i vaccini sono gratuiti; in altre, per esempio Piemonte e Toscana, lo sono solo in parte. Acqua e non sapone ira detergenti, creme, malie up e profumi, una donna (ma anche un uomo) riversa ogni mattina sulla sua pelle centinaia di sostanze. A queste si aggiungono quelle contenute nei gioielli, nei coloranti dei tessuti o nei detersivi.
Un attacco a 360 gradi a cui spesso la pelle reagisce con prurito, gonfiore, arrossamento e talvolta con la comparsa di piccole bollicine. Tanto che le dermatiti allergiche e irritative da contatto sono tra le più comuni affezioni dermatologiche. In Italia, secondo i dati della Sidapa (Società italiana di dermatologia allergologica professionale e ambientale) il 40 per cento delle dermatiti non professionali è dovuta ai cosmetici, nel 29 agli accessori metallici, nel 14 ai tarmaci e circa nel 9 ai capi di abbigliamento. Secondo Riccarda Serri, presidente di Skineco (Associazione internazionale di dermatologia ecologica), pazienti con queste patologie si presentano spessissimo ai dermatologi. Frequentemente, i responsabili sono i prodotti per lo skincare (creme idratanti, antirughe, esfolianti, detergenti e lozioni che non si risciacquano), seguiti da profumi e i prodotti per capelli. Il fenomeno è così diffuso che le grandi maison della cosmesi hanno in portafolio linee allergy-free appositamente formulate per i clienti soggetti a queste forme di allergie. Non solo. «Alcuni agenti possono trovarsi in indumenti provenienti dall'estero dove vigono meno controlli, che contengono coloranti e metalli pesanti non dichiarati, oppure in capi di abbigliamento mal risciacquati che contengono ancora tracce di detersivo», spiega Serri: «Determinare con precisione cosa scatena un'allergia non è facile proprio perché la pelle è sottoposta a tantissimi stimoli. Quindi, quando arriva un paziente con una dermatite, si deve fare una lunga indagine. È una specie di spy story. Poi per essere certi di aver individuato il colpevole si eseguono i test sulla pelle ed eventualmente gli esami del sangue».
SOS SMOG
Molti e imponenti studi mostrano il legame tra inquinamento atmosferico e indoor e aumento delle diverse allergie (respiratorie, della pelle, degli occhi e cosi via). E negli ultimi anni gli scienziati hanno capito anche il perché: gli inquinanti contengono sempre minuscole particene oleose che funzionano come veri e propri solventi per i pollini e per le altre sostanze in grado di scatenare una reazione allergica. A ciò contribuiscono poi le condizioni atmosferiche, le alterazioni nella fioritura dovute dalle mutazioni climatiche, il fumo attivo e passivo, i contaminanti naturali. Risultato: chi vive in città è di norma esposto a una miscela terrificante e questo spiega come mai le allergie aumentano soprattutto nelle aree metropolitane, con l'eccezione delle città che adottano adeguate politiche ambientali. In uno studio condotto da Hywel Williams dell'Università di Nottingham su circa 300 mila ragazzi di 13-14 anni di 55 paesi e 190 mila tra i sei e sette anni di 35 paesi, seguiti nel tempo presso centri per la cura delle allergie, si è visto chiaramente • che il calo più vistoso dei casi di dermatite allergica si ha nei paesi europei come Inghilterra, Irlanda, Germania, Svezia, che stanno cercando di migliorare l'aria delle città, mentre l'incremento più significativo è in Messico, Cile, Kenya, Algeria e nel Sud-est asiatico. Tra i gas più pericolosi: l'anidride solforosa, gli aerosol acidi, gli ossidi di azoto, l'ozono, i PM10 e le particene emesse dalle auto diesel. Agnese Codignola.
SCOPRI SE SEI A RISCHIO
I test per diagnosticare un'allergia o un'intolleranza SCIENTIFICI P r i c k tost: serve per individuare alimenti o inalanti che provocano allergie. Con una piccola puntura, si mettono alcune gocce della sostanza incriminata sulla pelle, di solito quella interna dell'avambraccio. La comparsa entro 20 minuti di gonfiore e arrossamelo localizzato indica che vi è stata reazione. Prick prick: si impiega per valutare gli alimenti freschi, come frutta e verdura. Si punge prima l'alimento e poi la cute del paziente. Palchlesi: consiste nell'applicazione, solitamente sulla schiena del paziente, di una serie di cerotti contenenti le sostanze che possono scatenare reazioni allergiche da contatto. Dopo 48-72 ore la comparsa di un arrossamelo permette di identificare a cosa è allergico il paziente. Rast test: è un esame del sangue. Ricerca in maniera mirata specifici anticorpi della famiglia delle immunoglobuline E (IgE), che indicano che il corpo reagisce a una determinata sostanza. Viene usato per confermare un'allergia respiratoria e in minor misura alimentare.
SCATENAMENTO: si somministrano per bocca piccole dosi crescenti dell'alimento sospetto in modo da scatenare una reazione allergica controllata. Si effettua sempre nello studio medico o in ospedale in modo che sia possibile intervenire in caso di reazioni gravi. Breath test: si impiega soprattutto per la diagnosi di intolleranza al lattosio. Dopo che il paziente ha ingerito una precisa quantità di lattosio si esamina l'aria espirata misurando la presenza di eventuali gas generati dalla fermentazione dello zucchero non digerito.
SCIENTIFICI Dria test: misura la forza di contrazione muscolare prima e dopo la somministrazione di gocce dell'alimento sospettato di dare intolleranza. Una diminuzione della forza dovrebbe indicare una possibile intolleranza. Non ci sono prove scientifiche. Cytotest o test citotossico: è un esame del sangue che valuta la reazione dei globuli bianchi a contatto con l'alimento sospetto. Si basa sulla teoria che in presenza della sostanza che provoca la reazione allergica i globuli bianchi si modifichino o si rompano. Non ci sono prove scientifiche. Vega test: misura la resistenza elettrica delle pelle nei punti di agopuntura del corpo umano. Questa resistenza dovrebbe subire modificazioni a contatto con la sostanza allergizzante. Altri test elettrodiagnostici simili sono il Sarm, l'elettroagopuntura secondo Voli, e il Mora test. Per nessuno di questi ci sono prove scientifiche. Pulse test: si basa sull'assunto che una sostanza allergizzante sia in grado di modificare la frequenza cardiaca. Dopo la somministrazione per iniezione, per bocca o per inalazione si controlla la frequenza cardiaca del paziente. Non ci sono prove scientifiche. Riflesso del polso di oiger: ponendo delle parti di alimento su determinate zone della cute si dovrebbero osservare, in presenza di un'ipersensibilità all'alimento, variazioni nella pulsazione che si avverte sul polso. Non ci sono prove scientifiche.
I DANNI DELL'IGIENE
Quando, nel 1989, l'allergologo David P. Strachan, del Department of Public Health Sciences della St. George's Hospital Medicai School di Londra, ha pubblicato il suo articolo sulla teoria igienica sul "British Medicai Journal", molti l'hanno letto come una provocazione. Strachan infatti sosteneva che la causa primaria dell'aumento esponenziale dei casi di dermatite e di febbre da fieno registrato un po' in tutti i paesi occidentali, e soprattutto nelle aree metropolitane, fosse da ricercare non tanto in qualche misteriosa nuova epidemia, quanto nell'ossessione, tipica appunto dei cittadini più istruiti e benestanti, per l'igiene, che portava a sterilizzare tutto fino dalla primissima infanzia, ad abusare degli antibiotici e a spargere ovunque potenti detergenti domestici.
Vivendo in un ambiente privo di germi e di sostanze estranee - spiegava Strachan - il sistema immunitario dei bambini non riesce a maturare perché non incontra abbastanza nemici proprio nel momento in cui dovrebbe capire in che senso evolvere. Ciò fa sì che quando gli stessi stimoli vengono a contatto con l'organismo, in età successive, le difese non siano predisposte adeguatamente e il pericolo di cortocircuito - cioè di allergia - aumenti in modo drammatico. Sembrava un po' una boutade antimodernista, ma il tempo ha dato ragione all'allergologo inglese. In questi vent'anni sono aumentate le prove a sostegno della teoria igienica ed è stato dimostrato negli animali prima, e nell'uomo poi, che per un organismo immaturo come quello di un bambino è fondamentale ricevere i giusti stimoli per predisporre adeguate batterie di difensori (cioè di anticorpi).
Non solo: si è scoperto che l'uomo si è evoluto insieme a batteri, virus e vermi, e che per questo, anche oggi, non può farne a meno, ma necessita da una parte della flora batterica cosiddetta buona e dall'altra, appunto, di contatti continui con un mondo che non deve essere asettico.
Negli ultimi anni ulteriori dimostrazioni sono venute da studi su chi cresce in campagna, meno soggetto alle allergie di chi nasce in città, nonché da moltissime ricerche che mostrano che l'assunzione di batteri buoni, per esempio attraverso i probiotici (ceppi selezionati di flora batterica intestinale) oppure i prebiotici (gli stessi uniti però a sostanze e sali che ne favoriscono lo sviluppo), ha molteplici ricadute positive sulla salute in generale e sulle allergie in particolare.
A perugia dal 30 settembre al 2 Ottobre la SIAIC, Società Italiana Allergologia ed Immunologia Clinica, a congresso con il meglio della ricerca italiana e degli specialisti ospedalieri.
"La Qualità della vita degli italiani sotto osservazione. Nasce un vero network delle allergie dall’età infantile a quella adulta. Aumentano le cosiddette “allergie professionali”.
Fonte: Studio Comunicazione Diessecom