Boceprevir, farmaco rivoluzionario per l’Epatite C è arrivato in Italia

Grazie all’azione diretta sul virus HCV, raddoppia e addirittura triplica la percentuale di guarigione dei pazienti, aprendo la strada all’eradicazione definitiva del virus.

Annunciato ufficialmente l’arrivo in Italia di boceprevir, nel corso del Congresso American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) che si sta svolgendo a Boston in questi giorni.
Il farmaco sarà finalmente a disposizione dei pazienti italiani con l’istituzione dei Registri di monitoraggio AIFA, prevista a breve.
Boceprevir, farmaco antivirale di ultima generazione, grazie all’azione diretta sul virus HCV, raddoppia e addirittura triplica la percentuale di guarigione dei pazienti, aprendo la strada all’eradicazione definitiva del virus.
La potenza antivirale di boceprevir riesce a negativizzare il virus anche nelle donne in menopausa, nelle quali è maggiore l’accelerazione della progressione della fibrosi epatica e più rapida l’insorgenza di una resistenza irreversibile alla terapia standard a base di interferone peghilato e ribavirina.

Finalmente è arrivato anche in Italia boceprevir, il primo di una classe di farmaci inibitori della proteasi, che agisce direttamente sul virus dell’Epatite C: il suo meccanismo d’azione sta producendo una rivoluzione contro la più insidiosa malattia del fegato, che nel mondo colpisce due persone ogni ora e rappresenta la prima causa di decesso per malattie infettive trasmissibili. Con questo farmaco, il sogno di eradicare completamente un virus temibile sta finalmente diventando realtà.
Analogamente a quello dell’Epatite B, il virus dell’Epatite C può cronicizzare nel 60-70% dei casi e chi diventa portatore cronico è esposto a gravi danni epatici, come sottolinea Antonio Gasbarrini, Professore ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Cattolica del S. Cuore, Roma, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia, Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma e Presidente Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE), «solo il 15-20% dei pazienti che vengono in contatto col virus riescono a guarire dall’infezione spontaneamente, mentre la maggioranza evolve in un’infezione cronica. In questo caso l’organismo può convivere per molti anni col virus, che però in maniera subdola nel 20-30% dei casi può arrivare a causare una malattia del fegato severa, come la cirrosi e l’epatocarcinoma».
Risultato efficace contro l’HCV di genotipo 1, il più temibile, perché rappresenta il 60% delle infezioni globali ed è più refrattario ai trattamenti, boceprevir, aggiunto alla terapia standard con interferone peghilato e ribavirina, riesce a raddoppiare e addirittura triplicare la percentuale di guarigione dei pazienti, arrivando al 67% nei soggetti che avevano ricevuto il farmaco per 44 settimane.
«Boceprevir agisce diversamente dalle terapie standard che potenziano il sistema immunitario e ad esso delegano la risposta antivirale – spiega Savino Bruno, Direttore della Struttura Complessa di Medicina Interna a indirizzo Epatologico presso l’Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano – Boceprevir aggredisce il virus HCV con un’azione diretta, inattivando le proteasi, gli enzimi che consentono all’HCV, una volta entrato nell’organismo, di replicarsi all’interno delle cellule epatiche. Il blocco enzimatico inibisce la replicazione virale e l’eradicazione, una volta raggiunta, è definitiva».
Per più di un milione e mezzo di italiani con infezione cronica da virus dell’Epatite C la buona notizia è che il farmaco ha superato con successo l'esame della Commissione e del Consiglio di Amministrazione di AIFA. L'Agenzia ha, tuttavia, disposto che il suo utilizzo sia monitorato attraverso Registri che, a tutt’oggi, non sono stati ancora attivati.

INTERVISTE
La potenza antivirale di boceprevir: efficace anche contro lo stato infiammatorio epatico più elevato della donna in menopausa.
L’OTTICA DI GENERE NELLA DIAGNOSI E NELLA TERAPIA DELL’EPATITE C È UNA NUOVA PROSPETTIVA CHE È STATA OGGETTO DELLE SUE RICERCHE: PUÒ ILLUSTRARCI COME E IN CHE MISURA L’APPARTENENZA AL GENERE FEMMINILE PUÒ INFLUIRE SUL TIPO DI TRATTAMENTO TERAPEUTICO?
L’epatite C è una malattia che colpisce prevalentemente in età più avanzata, perché acquisita con modalità di tipo trasfusionale e per via della disattenzione delle decadi precedenti: tra le donne con epatite C, quelle in menopausa o in pre-menopausa rappresentano circa il 60%.
L’insorgenza della menopausa determina un’accelerazione della progressione della fibrosi epatica, che nel giro di pochi anni può portare alla cirrosi, insieme a una veloce e irreversibile resistenza alla terapia standard a base di interferone peghilato e ribavirina.
Questo significa che non si può affrontare il problema dell’epatite C nel genere femminile come se le donne costituissero un gruppo omogeneo. Bisogna invece definire una strategia terapeutica per le donne in età fertile e una per quelle in menopausa, dal momento che l’interruzione della capacità riproduttiva è un fattore determinante nella previsione della risposta alla terapia standard.
Per comprendere meglio la correlazione tra menopausa e risposta ai trattamenti abbiamo condotto in Italia uno studio prospettico su 1.000 pazienti con malattia epatica compensata da epatite C, dei quali 442 erano donne. Dallo studio emerge che le donne in post-menopausa trattate con interferone e ribavirina raggiungono una Risposta Virologica Sostenuta (SVR) con minore frequenza rispetto alle donne in età riproduttiva sottoposte al medesimo trattamento: 46% contro 67,5%. Nel genotipo 1, queste percentuali si abbassano ulteriormente: 28.2% nelle donne menopausali in confronto al 56.7% delle donne in età riproduttiva.

PUÒ SPIEGARCI LE RAGIONI PER LE QUALI LE DONNE IN MENOPAUSA RISPONDONO MENO ALLE TERAPIE PER L’EPATITE C A BASE DI INTERFERONE?
All’avvicinarsi dell’insorgenza della menopausa, i livelli di estrogeni circolanti, in particolare l’estradiolo, iniziano a diminuire, come fisiologica conseguenza dell’esaurimento ovarico. Questa è la ragione per cui molte donne in questa fase accusano sintomi legati ad una più accentuata attività infiammatoria, come ad esempio dolori diffusi alle articolazioni. Lo switch verso un progressivo aumento dell’attività infiammatoria si verifica non solo a livello generale ma anche a livello epatico. Aumentano così, nel sangue e nel fegato, i livelli di alcune citochine, come TNF-alfa e IL-6, che sono fattori cruciali nel determinare un’aumentata fibrogenesi ed una resistenza ai trattamenti antivirali standard. Da uno studio durato 5 anni ed eseguito in ambiente clinico reale con 746 pazienti (431 uomini e 315 donne) emerge infatti che le donne fertili trattate con la terapia standard hanno raggiunto una Risposta Virologica Sostenuta in percentuale del 20% maggiore rispetto alle donne in menopausa (46,9% vs 26%).

RISPETTO AI FARMACI DI NUOVA GENERAZIONE COME BOCEPREVIR, CHE RUOLO GIOCA LO STATO DI MENOPAUSA DELLE PAZIENTI CON EPATITE C?
Il boceprevir è un farmaco dall’azione potente, in grado di migliorare drasticamente la risposta rispetto alla terapia antivirale standard. Dati preliminari, presentati alla Special Conference EASL/AASLD “Therapy of Hepatitis C: Clinical Application and Drug Development” sul ri-trattamento di un gruppo di donne con precedente fallimento terapeutico (sia relapse che null response), hanno dimostrato un notevolissimo recupero della risposta, che ha raggiunto oltre il 60% di negativizzazione dell’HCV RNA a fine terapia.
Il meccanismo con il quale boceprevir arriva a questo risultato è attualmente oggetto di ricerca: è partito un studio clinico, per il quale la fine dell’arruolamento dei pazienti è prevista entro l’anno, per studiare come evolve l’attività infiammatoria nella donna e per capire come questo status influenza la risposta virologica nei confronti di boceprevir.
A tutt’oggi riteniamo che la potenza farmacologica antivirale del farmaco sia così elevata da riuscire a bypassare lo stato infiammatorio più elevato che colpisce la donna in menopausa.

Erica Villa
Professore Ordinario di Gastroenterologia, Unità Complessa di Gastroenterologia, Università di Modena e Reggio Emilia e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena

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Accesso alle nuove terapie: i ritardi mettono a rischio i pazienti


COSA CAMBIA NEL VISSUTO DI UNA PERSONA RICEVERE UNA DIAGNOSI DI SIEROPOSITIVITÀ ALL'HCV? E QUALI SONO LE RIPERCUSSIONI QUANDO LA MALATTIA DIVENTA CRONICA?
Normalmente la prima sensazione al momento della diagnosi è di smarrimento poiché nonostante la persona abbia sentito parlare di Epatite non ha chiara l’entità del problema. A questo si aggiunge la particolare natura dell’Epatite C, si tratta infatti di una malattia infettiva trasmissibile. Tutto questo rende l’impatto devastante. Sorgono spontanee ed immediate diverse domande: quanto è grave? A chi potrei averla trasmessa inconsapevolmente? Come faccio a dirlo, a chi lo dico? Comprensibilmente il primo impatto post diagnosi arreca disperazione e ansia, tutte le sicurezze sono messe in discussione: lavoro, famiglia, relazioni sociali e affettive. Siccome l’Epatite C si presenta con diversi livelli di gravità che vanno da “lieve” a “gravissima”, le ripercussioni dipendono in gran parte dal grado di compromissione fisica e psicologica. Fintanto che non si manifestano disturbi organici il problema è più che altro di carattere socio-relazionale ed è relegato alla sfera psicologica del paziente, ad esempio il disagio di dover nascondere la propria sieropositività sul lavoro, il come e quando affrontare la questione con il partner e i figli, il sentirsi ed essere di fatto discriminato socialmente. Quando poi si presentano i sintomi di malattia allora l’autostima, la sicurezza e le certezze iniziano ad essere erose in modo ancora più marcato. L’evoluzione dell’Epatite è lenta fino a venti-trenta anni. La stanchezza è tra i primi segni a comparire. Poco alla volta il paziente comincia a rinunciare alle piccole cose quotidiane, ad avere meno vita sociale, manifesta un progressivo isolamento causato dal senso di incertezza e dalla perdita di sicurezza. Dopo molti anni si passa allo stadio di cirrosi e, nella fase più avanzata, si ha bisogno di aiuto costante per svolgere anche le normali attività del vivere quotidiano.

LA “DUPLICE” TERAPIA A BASE DI PEGINTERFERONE E RIBAVIRINA È IL REGIME CON IL QUALE I PAZIENTI SONO STATI CURATI FINO AD OGGI: QUALI SONO, SECONDO I PAZIENTI, LE ESIGENZE CHE LA COSIDDETTA “DUPLICE” NON È IN GRADO DI SODDISFARE?
Come è facile immaginare, i pazienti vogliono una cura priva, o quasi, di effetti collaterali, che duri il meno possibile e funzioni per tutti i genotipi virali. La “duplice” non ha raggiunto questi obiettivi, anzi ha mostrato una serie di limiti importanti: ad esempio, la tollerabilità. I numerosi effetti collaterali escludono una consistente percentuale di pazienti che hanno problemi di tolleranza (es. gli anziani, gli adolescenti, e in generale gli ipersensibili ai principi attivi dei due farmaci utilizzati) ma anche altri pazienti che hanno controindicazioni quali, ad esempio, le donne incinte o coloro che sono affetti da altre patologie concomitanti come i cardiopatici, ecc.
La “duplice” terapia inoltre non funziona sempre, la risposta nel genotipo 1 è attorno al 40-50%, nel genotipo 2 e 3 è del 70-80%. Un paziente su due guarisce, è vero, ma nel computo generale, sono ancora troppo pochi i pazienti che possono realmente trarne beneficio poiché la selezione a monte è molto forte.

QUANDO SI VALUTA LA SOSTENIBILITÀ DI UNA TERAPIA INNOVATIVA, QUALI SONO I BENEFICI TRA QUELLI CHE I PAZIENTI VALUTANO COME PIÙ IMPORTANTI CHE DEVONO ESSERE CONSIDERATI?
Sostenibilità è un termine ambiguo, quindi la risposta dipende da quale punto di vista si analizza la domanda. Il singolo paziente non si pone il problema della sostenibilità, se per tale si intende la ricaduta “economica”, quanto piuttosto le possibilità concrete di guarigione. In altre parole l’efficacia del trattamento è il beneficio maggiore che al paziente interessa.
Se, invece, la sostenibilità viene valutata in senso lato, è ovviamente necessario analizzare quanto la terapia innovativa sia realmente vantaggiosa rispetto alle cure precedenti e quanto costa, perché tale problema potrebbe ostacolare l’accesso al trattamento, soprattutto in un momento così difficile di crisi globale. Infine vanno considerati gli effetti collaterali che possono influenzare negativamente l’aderenza alla terapia fino alla sospensione o addirittura causare severe ripercussioni sulla salute del paziente.

LEI RAPPRESENTA LA PIÙ IMPORTANTE ASSOCIAZIONE PAZIENTI: QUALI SONO LE NECESSITÀ EMERSE DAL SONDAGGIO ESEGUITO RECENTEMENTE TRA GLI ISCRITTI RIGUARDO ALL’ACCESSIBILITÀ DELL’INNOVAZIONE TERAPEUTICA?
L’accesso alle cure tocca diversi ambiti. Come prima cosa è fondamentale la disponibilità immediata del farmaco innovativo in tutto il territorio nazionale, una volta che questo è stato approvato dagli organi competenti, soprattutto per i pazienti più a rischio: nel nostro caso parliamo di pazienti con malattia avanzata, per i quali un ritardo all’accesso al farmaco può renderli ineleggibili alla cura, di fatto esclusi e quindi “condannati” alle sofferenze dello scompenso epatico, dell’epatocarcinoma, del trapianto di fegato, o addirittura al decesso. Un altro importante requisito è la presenza omogenea di Centri specialistici sul territorio nazionale autorizzati a prescrivere le cure poichè i nuovi farmaci possono essere prescritti solo da specialisti competenti e in Centri attrezzati per un adeguato monitoraggio della terapia. Infine, sono necessarie Linee Guida di trattamento uniformi su tutto il territorio nazionale con precisi percorsi diagnostico-terapeutici (PDTA) per evitare le temibili migrazioni causate da regole di accesso troppo diversificato da regione a regione.

IN AGOSTO BOCEPREVIR, FARMACO ANTIVIRALE DI ULTIMA GENERAZIONE, HA SUPERATO CON SUCCESSO L'ESAME DELLE COMMISSIONI E DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELL’AIFA: QUALI SONO LE RAGIONI CHE ANCORA NE IMPEDISCONO LA TOTALE FRUIBILITÀ DA PARTE DEI PAZIENTI?
Non conosciamo le ragioni di questo ritardo. Fatto sta che sono trascorsi tre mesi dall’annuncio della rimborsabilità ma il Decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Tuttavia la cosa ancora più grave è che, pur essendo passati ormai 15 mesi dall’approvazione europea dei nuovi inibitori, i pazienti italiani non ne possono ancora usufruire. Tale ritardo è inaccettabile. Ci auguriamo che l’AIFA comprenda l’urgenza della situazione: c’è in gioco la vita di molti malati alle prese con una malattia in stadio avanzato. Auspichiamo che in futuro si prenda in considerazione la possibilità di rendere più flessibile il processo autorizzativo e istituire corsie di rapida approvazione per i pazienti a rischio più elevato come i trapiantati e i cirrotici.

Ivan Gardini
Presidente EpaC - Associazione Onlus

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Azione diretta sul virus, efficacia più che raddoppiata: perché boceprevir apre la strada all’eradicazione dell’HCV
CON L’ARRIVO DI BOCEPREVIR, CAPOSTIPITE DI FARMACI ANTIVIRALI DI NUOVA GENERAZIONE, SI PUÒ FINALMENTE PARLARE DI ALTI TASSI DI ERADICAZIONE DEL VIRUS DELL’EPATITE C ANCHE NEL GENOTIPO 1, IL PIÙ DIFFICILE DA TRATTARE. IL PUNTO DI FORZA DEL FARMACO RISIEDE NEL SUO MECCANISMO D’AZIONE ALTAMENTE INNOVATIVO: PUÒ SPIEGARCI COME FUNZIONA?
Boceprevir aggredisce il virus HCV con un’azione diretta impedendone la replicazione. In tal senso il farmaco agisce diversamente dalle terapie standard che potenziano il sistema immunitario e ad esso delegano la risposta antivirale.
Boceprevir è un inibitore delle proteasi, enzimi fondamentali per consentire al virus, una volta entrato nell’organismo, di replicarsi all’interno delle cellule epatiche. Il bersaglio dell’agente antivirale è una struttura localizzata nell’RNA denominata regione NS-3 ove risiedono gli enzimi proteasici, in particolare si tratta della proteasi serinica NS3/4A, una delle sei proteine non strutturali del genoma dell’HCV, indispensabile per la replicazione del virus nella cellula epatica infettata. Il blocco enzimatico inibisce la replicazione virale. L’eradicazione, una volta raggiunta, è definitiva.

HCV SPRINT-2 E RESPOND 2 HANNO VALUTATO L’EFFICACIA DI BOCEPREVIR NEI PAZIENTI MAI PRECEDENTEMENTE TRATTATI E IN QUELLI NON RESPONDER IN CONFRONTO ALLA TERAPIA DUPLICE A BASE DI INTERFERONE E RIBAVIRINA: QUALI SONO LE EVIDENZE RAGGIUNTE DAGLI STUDI?
L’utilizzo del terzo farmaco, boceprevir, ha dimostrato un’efficacia 2-2,5 volte superiore rispetto alla terapia standard in termini di tassi di SVR (risposta virologica sostenuta), verso il genotipo 1, come sopra riportato il più diffuso in Italia e più difficile da eradicare. I due studi condotti hanno evidenziato, oltre alla maggiore efficacia, una buona sicurezza e tollerabilità del farmaco. La vecchia “duplice” terapia a base di interferone alfa 2b peghilato e ribavirina potrà essere riservata a certe categorie, in particolare a pazienti che in 4 settimane raggiungono la negativizzazione dell’HCV-DNA.

PUÒ ILLUSTRARCI LO SCHEMA TERAPEUTICO CON CUI VIENE SOMMINISTRATO BOCEPREVIR? PER QUALI PAZIENTI SARÀ INDICATO?
Il farmaco è somministrato per via orale al dosaggio di quattro compresse da assumere all’incirca ogni otto ore (margine consentito tra 7 e 9 ore) con un pasto non grasso per facilitarne l’assorbimento. Il disagio più fastidioso è una sensazione di sapore metallico in bocca che può essere gestita con alcuni semplici accorgimenti.
Lo schema terapeutico consiste in 4 settimane di peghilato e ribavirina – il cosiddetto periodo di lead in - a partire dalla 5a settimana (29 giorno) si aggiunge boceprevir (4 compresse 3 volte al giorno), se in 8a settimana si rileva la negativizzazione dell'HCV RNA la terapia prosegue fino alla 24a settimana, in caso contrario si deve continuare sino alla 48a settimana. In altri termini, si attua la cosiddetta “risposta guidata dalla terapia”, ovvero la somministrazione del farmaco viene interrotta in funzione della negatività o della positività virale valutata in 8a settimana. Controlli successivi (le cosiddette “stopping rules”) sono inoltre previsti in 2a e in 24a settimana a scopo cautelativo.
Il trattamento con boceprevir è indicato per l’infezione da Epatite C cronica di genotipo 1 in tutti i pazienti con cirrosi compensata che non sono mai stati trattati prima o che non hanno risposto a precedenti terapie. Sono esclusi i pazienti in attesa di trapianto di fegato e quelli con cirrosi scompensata.

INSIEME AL MECCANISMO D’AZIONE, L’ASPETTO INNOVATIVO DI BOCEPREVIR RIGUARDA ANCHE LE MODALITÀ E I TEMPI DEL TRATTAMENTO: IN COSA CONSISTE LA STRATEGIA LEAD-IN E QUALI SONO LE SUE FINALITÀ?
La strategia lead-in serve a individuare i pazienti sensibili alla terapia con peghilato-ribavirina in modo da effettuare una selezione prima di curarli o meno con boceprevir. La pecularietà di boceprevir prevede infatti un trattamento di 4 settimane con l’interferone peghilato e ribavirina per vedere se funzionano e in caso di risposta positiva aggiungere il terzo antivirale.
I pazienti che rispondono dopo 4 settimane alla terapia standard hanno una probabilità di risposta al boceprevir quasi del 90%, viceversa i pazienti che non rispondono hanno meno del 30% di probabilità. In sostanza, la strategia lead-in permette di risparmiare sui costi e di garantire il massimo di efficacia terapeutica.

Savino Bruno
Direttore Struttura Complessa Medicina Interna a indirizzo Epatologico,
Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico Milano


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Epatite C: un piano di lotta specifico
per un’infezione cronica subdola e strisciante

PER IL NUMERO DI PORTATORI SANI E PER L’ASSENZA DI SINTOMI, L’EPATITE C È CONSIDERATA UN’EPIDEMIA SOMMERSA, ANCHE SE A LIVELLO GLOBALE È LA PRIMA CAUSA DI DECESSO PER MALATTIE INFETTIVE TRASMISSIBILI: QUAL È IL QUADRO EPIDEMIOLOGICO DELLA PATOLOGIA IN ITALIA E NEL MONDO?
Nel mondo sono oltre 180 milioni le persone infette dal virus C dell’epatite con una prevalenza variabile tra lo 0.5 e l’8% nelle varie popolazioni. In Europa vi è un significativo gradiente tra Nord (0.2-0.8%) e Sud (2-3%) del continente. In tale scenario epidemiologico l’Italia è caratterizzata da una prevalenza variabile tra l’1% e il 3%, con un significativo gradiente Nord-Sud.
La gran parte degli infetti ha un’età superiore a cinquant'anni e ciò testimonia un’endemia di tale infezione tra la popolazione del nostro Paese negli anni ‘50-‘70. Purtroppo tra i pazienti portatori dell’infezione il 20-30% è evoluto in una grave epatopatia e si stima che in Italia i cirrotici da virus C siano oltre 150.000 e siano circa 4-5.000 i casi di tumore del fegato conseguenti all’infezione cronica da tale virus. Infine è di assoluto rilievo sottolineare che oltre il 60% dei 1.100 trapianti di fegato che si effettuano in Italia ogni anno siano causati dal virus C.

PUÒ ILLUSTRARCI I DANNI CHE L’IMPATTO DEL VIRUS DELL’EPATITE C PROVOCA AL FEGATO E QUALI SONO LE CONSEGUENZE CLINICHE A BREVE E A LUNGO TERMINE SULL’ORGANISMO?
Solo il 15-20% dei pazienti che vengono in contatto col virus riescono a guarire dall’infezione spontaneamente, mentre la maggioranza evolve in un’infezione cronica. In caso d’infezione cronica l’organismo può convivere per molti anni col virus, che però in maniera subdola nel 20-30% dei casi può arrivare a causare una malattia del fegato severa, come la cirrosi e l’epatocarcinoma.

L’EPATITE C È UNA VERA E PROPRIA URGENZA SANITARIA: QUALI SONO SECONDO LEI GLI STRUMENTI PIÙ EFFICACI PER ARGINARNE I DANNI?
Con la risoluzione 63-18 la World Health Organization ha stabilito che le epatiti virali da virus B e C sono un problema sanitario d’interesse mondiale e ha richiesto a tutti gli Stati membri di dotarsi di piani specifici per la lotta alle epatiti. L’Italia purtroppo, nonostante l’alta prevalenza di tali infezioni, non ha ancora un piano specifico, ma un gruppo di lavoro ministeriale sta lavorando per prepararne uno che dovrebbe essere presentato il 29 novembre prossimo in occasione della celebrazione italiana della Giornata Mondiale delle Epatiti.
La Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE), insieme all’Associazione Italiana Studio Fegato (AISF), supporta ogni anno decine di iniziative di comunicazione regionale e nazionale volte a sensibilizzare l’opinione pubblica – e soprattutto i più giovani – sul grande problema delle epatiti virali da virus B e C, infezioni striscianti e subdole verso le quali non dobbiamo mai abbassare la guardia.

COSA PUÒ ESSERE FATTO PER CONTRASTARE LA DIFFUSIONE DEL VIRUS?
Considerando la modalità di contagio del virus C, la diffusione si argina fondamentalmente con il massimo rispetto delle norme igieniche. Cruciale è stata nel passato l’adozione delle siringhe ‘usa e getta’ e delle moderne metodiche di sterilizzazione degli strumenti chirurgici, oltre che il rigoroso controllo delle trasfusioni di sangue e derivati.
Ad oggi, un’attenzione particolare va data a tatuaggi, piercing, manicure o pedicure, procedure molto diffuse tra le popolazioni più giovani che devono essere effettuate solo in ambienti che rispettano, oltre che un’igiene rigorosa, strumenti ‘usa e getta’.
Fondamentale è anche la diagnosi precoce e il trattamento con le terapie antivirali disponibili delle persone infette con malattia cronica evolutiva. La negativizzazione del virus è infatti la vera modalità per bloccare l’evoluzione della malattia ed evitarne la diffusione. Un test di laboratorio banale come le transaminasi può essere un’eccellente ed economica modalità per individuare soggetti con epatite meritevoli di approfondimenti diagnostici.

Antonio Gasbarrini
Professore ordinario di Gastroenterologia, Università Cattolica del S. Cuore, Roma Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia, Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma Presidente Fondazione Italiana Ricerca in Epatologia (FIRE)

Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa