Linfomi: che cosa è il sistema linfatico e terapie contro i linfonodi
Il sistema linfatico è costituito da un insieme di organi (midollo osseo, milza, timo, linfonodi, tonsille ed appendice), tessuti e dotti, che assolve due compiti:
1. drenare fluidi da cellule e tessuti verso il flusso sanguigno;
2. combattere le infezioni e i tumori con l’azione dei linfociti distribuiti in tutto il corpo.
I fluidi linfatici, composti da proteine, grassi e linfociti, circolano nel sistema linfatico attraverso un complesso sistema di tubi molto sottili detti vasi linfatici.
Ci sono due categorie principali di linfociti coinvolti nella protezione dell’organismo da virus e batteri: le cellule B e le cellule T. Le cellule B maturano fino a diventare plasmacellule, che producono gli anticorpi necessari a combattere le infezioni. Le cellule T agiscono nel controllo delle reazioni immunitarie mediate dalle cellule e nell’attivazione delle cellule B attraverso la produzione di sostanze chimiche molto potenti chiamate linfochine.
IL LINFOMA
È un tipo di tumore che si può sviluppare quando si verifica un errore nella produzione dei linfociti. Come risultato, si ha una cellula anomala che diventa tumorale a causa di una velocissima ed infinita replicazione. Queste cellule perdono la capacità di andare incontro a “morte programmata” (apoptosi) e possono accumularsi nei linfonodi dando così origine a tumori e provocando l’ingrossamento dei linfonodi.
Come i linfociti normali, anche quelli maligni possono svilupparsi in diverse parti del corpo come linfonodi, milza, midollo osseo, sangue o altri organi.
Le cause esatte del linfoma rimangono ancora sconosciute. Tuttavia, la ricerca si sta focalizzando su alcuni fattori che possono contribuire allo sviluppo del linfoma, quali fattori genetici, un indebolimento del sistema immunitario ed alcuni virus come l’HIV.
ESISTONO DUE TIPI DI TUMORE DEL SISTEMA LINFATICO:
LINFOMA DI HODGKIN (o Morbo di Hodgkin, dal nome del medico che per primo lo individuò nel 1832), caratterizzato dalla presenza di un particolare tipo di cellule tumorali, le cosiddette cellule di Reed Sternberg, non rilevabili nelle altre forme di linfoma;
LINFOMI NON-HODGKIN (LNH) che rappresentano la categoria più comune e diffusa. Esistono più di 30 tipi diversi di linfomi Non-Hodgkin, i quali vengono solitamente distinti in due gruppi, a seconda della rapidità di crescita del tumore:
- indolenti (basso grado di malignità): le cellule tumorali si dividono e si moltiplicano lentamente, rendendo difficoltosa la diagnosi iniziale. I pazienti affetti da questi linfomi possono convivere con la malattia per molti anni, ma le terapie standard non sono in grado di contrastare la malattia quando già si trova in uno stadio avanzato. La forma indolente, a sviluppo lento, rappresenta il 45% dei linfomi Non-Hodgkin;
- aggressivi (grado di malignità medio-alto): le cellule tumorali si dividono e si moltiplicano rapidamente e, se non trattato, il linfoma può essere fatale nel giro di sei mesi-due anni. La forma aggressiva, o a crescita rapida, che si presenta in circa il 55% dei pazienti con linfoma Non-Hodgkin, è quella più sensibile alle terapie.
I SINTOMI
La sintomatologia dei linfomi è molto variabile: a volte sono asintomatici, a volte compaiono con sintomi molto generici, come febbre, sudorazione intensa (soprattutto notturna), dimagrimento, spossatezza e prurito persistente in tutto il corpo.
Non esistono test per diagnosticare precocemente il linfoma Non-Hodgkin e la biopsia sul linfonodo è l'unico metodo che consente una diagnosi accurata del linfoma. Il linfonodo deve essere prelevato per intero per consentire l’analisi di tutta la struttura ghiandolare e per definire nel modo più preciso il tipo istologico (istotipo) del linfoma ovvero la “carta d’identità del tumore”. Dal tipo di linfoma deriva l’aggressività clinica della malattia e, di conseguenza, la terapia.
Nei casi in cui i linfonodi sono presenti esclusivamente in una sede profonda, come l’addome e il torace, per formulare una diagnosi è necessario un intervento chirurgico in sede addominale (laparotomia o laparoscopia) o toracica (toracotomia o broncoscopia o mediastinoscopia).
Una volta individuato il tipo di linfoma è opportuno conoscerne la sua diffusione. Può essere infatti colpita una singola sede linfonodale oppure più sedi. Mediante una serie di accertamenti diagnostici di laboratorio (esami del sangue), radiologici (TAC, PET, ecografia, esami radiologici tradizionali) e, ove necessario, endoscopici è possibile definire la diffusione della malattia e classificarla in stadi.
LE TERAPIE CONTRO I LINFOMI
Le linee di trattamento per il linfoma sono molteplici e la scelta della terapia dipende da diversi fattori, tra cui la classificazione istologica (individuazione del tipo di linfoma), lo stadio di avanzamento del linfoma e l’età del paziente.
È importante considerare tali fattori nel momento della scelta dello specifico regime terapeutico per il singolo paziente. Il tipo esatto di terapia che viene prescritta dipende da tre fattori fondamentali.
1. STADIO
Ci sono quattro stadi di linfoma Non-Hodgkin secondo la Classificazione Ann Arbor, che si basa sulla diffusione del tumore nell’organismo:
- Stadio I: il tumore coinvolge un’area localizzata, spesso un singolo linfonodo e la regione circostante. Tipicamente non ci sono sintomi;
- Stadio II: il tumore coinvolge più di un linfonodo da una parte del diaframma o una regione linfonodale, più un’area o un organo nelle vicinanze;
- Stadio III: il tumore coinvolge regioni linfonodali da entrambi i lati del diaframma e un organo o un’area vicino ai linfonodi, la milza o un altro organo;
- Stadio IV: il tumore coinvolge uno o più organi e il midollo osseo oppure la pelle.
2. DIMENSIONI
I tumori più grandi (con un diametro >7 cm o >10 cm) sono detti “bulky”.
Tipo di linfomi
Poiché le due forme principali di linfoma Non-Hodgkin (aggressivo e indolente) hanno prognosi molto differenti, sono diverse le strategie terapeutiche:
- Il linfoma aggressivo (grado medio/alto) si divide e si moltiplica rapidamente nell’organismo e, se non viene trattato, può essere fatale entro sei mesi. Se viene trattato, la sopravvivenza mediana è di 5 anni, con il 30-40% dei pazienti che ottiene una remissione. I pazienti diagnosticati e trattati negli stadi iniziali della forma aggressiva hanno maggiori probabilità di guarire e sono meno soggetti a successive ricadute. Poiché la guarigione è una possibilità reale, il trattamento è più aggressivo. Tradizionalmente, il trattamento per il linfoma Non-Hodgkin aggressivo è stato la chemioterapia standard CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) e/o chemioterapia ad alto dosaggio con trapianto autologo. L’utilizzo dell’anticorpo monoclonale rituximab in combinazione con la chemioterapia standard (CHOP) è stato approvato dalle autorità regolatorie europee nel 2002. L’approvazione, basata sui risultati di uno studio randomizzato di fase III che ha dimostrato un prolungamento della sopravvivenza e un miglioramento delle possibilità di cura per i pazienti trattati con il trattamento combinato rispetto alla sola chemioterapia CHOP, ha portato l’utilizzo di rituximab + CHOP a diventare il nuovo standard terapeutico per i pazienti con linfoma Non-Hodgkin aggressivo.
- Il linfoma indolente (basso grado)
si divide e moltiplica nell’organismo più lentamente, rendendo più difficile la diagnosi iniziale. I pazienti possono convivere molti anni con la malattia, ma a differenza della forma aggressiva non esiste possibilità di cura con i trattamenti standard. Generalmente, i pazienti hanno alte percentuali di risposta al primo ciclo di trattamento, seguiti da diverse ricadute. Tipicamente, un paziente con forma indolente viene trattato cinque o sei volte e di solito il tasso di risposta è progressivamente inferiore con il susseguirsi dei cicli terapeutici. La sopravvivenza mediana di questa forma – nella quale i pazienti alla fine muoiono per la patologia o le sue complicazioni – è circa di 6-10 anni. Ad agosto 2004 le autorità europee hanno approvato rituximab in combinazione con la chemioterapia CVP come trattamento di prima linea per il linfoma indolente. L’approvazione si è basata sui dati di uno studio randomizzato di fase III che ha confrontato rituximab in combinazione con chemioterapia CVP (ciclofosfamide, vincristina e prednisolone) rispetto alla sola chemioterapia CVP; i risultati di questo studio e di altri studi di associazione del farmaco con altri schemi polichemioterapici hanno dimostrato che la combinazione migliora in maniera significativa la sopravvivenza globale (Overall Survival), il tempo al fallimento della terapia (Time to Treatment Failure - TTF), il tempo alla progressione della malattia (Time to Progression - TTP), la percentuale di risposta globale (Overall Response Rate - ORR) e la percentuale di risposta completa (Complete Response Rate - CR) rispetto al trattamento con la sola chemioterapia.
Le principali linee d'azione, che possono essere seguite singolarmente o in combinazione l'una con l'altra, sono:
WATCH AND WAIT
“Watch and Wait”, ovvero “Osserva e Aspetta”: è la fase di malattia in cui non s’interviene con i farmaci e si applica solo a particolari tipi di linfoma indolente, in assenza di sintomatologia sistemica e di malattia in fase di progressione.
Durante tale periodo, i pazienti si sottopongono a regolari visite mediche specialistiche e sono sottoposti ad accertamenti periodici (esami del sangue o radiologici). Vengono inoltre informati su quali sintomi debbano essere immediatamente comunicati al medico in quanto richiedono l’inizio di un approccio terapeutico.
RADIOTERAPIA
La radioterapia consiste nell'uso di raggi X ad alta energia nell’area dove sono localizzate le cellule tumorali allo scopo di distruggerle e ridurre le dimensioni del tumore. Attualmente viene impiegata solo in associazione alla chemioterapia, come terapia di consolidamento.
CHEMIOTERAPIA
I farmaci chemioterapici distruggono le cellule tumorali e anche quelle normali interferendo nella loro attività di replicazione. La somministrazione può essere per via endovenosa o orale. Il tipo di chemioterapia utilizzato dipende dal tipo di linfoma. Alcuni farmaci chemioterapici sono utilizzati singolarmente, ma solitamente viene adottata un’associazione di più farmaci.
L’impiego di chemioterapia ad alte dosi prevede il trapianto di cellule staminali (cellule allo stadio iniziale di sviluppo), cioè la sostituzione delle cellule ematiche, distrutte da una chemioterapia, con cellule staminali ematiche sane, raccolte dal midollo emopoietico o dal sangue periferico.
Esistono due tipi di trapianto: autologo, nel caso in cui le cellule staminali siano prelevate dal paziente stesso prima della chemioterapia ad alte dosi; allogenico, nel caso siano di un donatore compatibile (questo secondo tipo di trapianto non è frequente nel trattamento del linfoma Non-Hodgkin).
La possibilità di disporre di cellule staminali permette di eseguire una chemioterapia più aggressiva.
La chemioterapia viene spesso associata ad altri tipi di trattamento.
In questi ultimi anni sono state messe a punto nuove soluzioni terapeutiche particolarmente efficaci che consistono nell’associazione di chemioterapia e anticorpo monoclonale rituximab (immuno-chemioterapia).
L’associazione dell’anticorpo monoclonale con la chemioterapia permette una sinergia d’azione. Inoltre l’anticorpo monoclonale “sensibilizza” le cellule tumorali all’azione della chemioterapia, aumentandone l’effetto.
ANTICORPI MONOCLONALI
L’anticorpo monoclonale rituximab associato alla chemioterapia rappresenta oggi la terapia standard del linfoma Non-Hodgkin indolente e aggressivo ed ha consentito di aumentare di gran lunga le possibilità di sopravvivenza dei pazienti.
Gli anticorpi monoclonali sono proteine frutto dell’ingegneria genetica che riconoscono e si legano ad un target specifico detto “antigene”, una proteina sulla superficie della cellula di linfoma. Dopo essersi legato al bersaglio, l'anticorpo monoclonale è in grado di uccidere la cellula tumorale reclutando il sistema immunitario dell’individuo stesso. Pertanto gli anticorpi monoclonali vengono usati come “proiettili intelligenti” per colpire le cellule tumorali, senza distruggere quelle sane dell’organismo (a differenza della chemioterapia).
Rituximab, in particolare, è un anticorpo monoclonale terapeutico che agisce legandosi selettivamente ad una proteina particolare – l’antigene CD20 – sulla superficie della cellula B normale e maligna. Questo legame attiva le difese naturali dell’organismo per attaccare e uccidere le cellule B. Le cellule staminali (progenitrici delle cellule B) nel midollo osseo non hanno l’antigene CD20: ciò consente alle cellule B sane di rigenerarsi in seguito al trattamento e ritornare a livelli normali in pochi mesi.
Le cellule B sono uno dei due principali tipi di linfociti coinvolti nella protezione dell’organismo da virus e batteri e circa il 90% di tutti i casi di linfoma Non-Hodgkin (LNH) sono dovuti ad anomalie proprio in questo tipo di cellule. A differenza dei trattamenti tradizionali per il LNH che attaccano le cellule tumorali ma danneggiano anche quelle sane, il rituximab agisce prendendo come bersaglio solamente le cellule B.
Sino ad oggi, i pazienti in tutto il mondo hanno ricevuto più di due milioni di trattamenti con questo farmaco. Dall’introduzione di rituximab dieci anni fa, il primo anticorpo monoclonale autorizzato per il trattamento del linfoma Non-Hodgkin, la sopravvivenza dei pazienti è migliorata.
L’introduzione della terapia con anticorpi monoclonali specifici diretti in maniera mirata sulle cellule tumorali in combinazione alla chemioterapia (immuno-chemioterapia) ha migliorato sensibilmente il decorso e la possibilità di guarigione di questa tipologia di linfoma consentendo ai pazienti di vivere più a lungo senza malattia e, in molti casi, di guarire.
In particolare nel linfoma diffuso a grandi cellule, il più comune tra i linfomi aggressivi, più del 60% dei malati trattati con immunochemioterapia a 5 anni dall’inizio del trattamento non presenta malattia.
Anche per il linfoma follicolare, il più comune tra i linfomi indolenti, ci sono nuove prospettive di cura: grazie all’immunoterapia associata alla chemioterapia, infatti, i pazienti affetti da linfoma follicolare possono mantenere intervalli liberi da malattia statisticamente più lunghi rispetto a quelli ottenuti con la sola chemioterapia, prolungando così la remissione della malattia e ritardando o prevenendo nuove ricadute.
1. drenare fluidi da cellule e tessuti verso il flusso sanguigno;
2. combattere le infezioni e i tumori con l’azione dei linfociti distribuiti in tutto il corpo.
I fluidi linfatici, composti da proteine, grassi e linfociti, circolano nel sistema linfatico attraverso un complesso sistema di tubi molto sottili detti vasi linfatici.
Ci sono due categorie principali di linfociti coinvolti nella protezione dell’organismo da virus e batteri: le cellule B e le cellule T. Le cellule B maturano fino a diventare plasmacellule, che producono gli anticorpi necessari a combattere le infezioni. Le cellule T agiscono nel controllo delle reazioni immunitarie mediate dalle cellule e nell’attivazione delle cellule B attraverso la produzione di sostanze chimiche molto potenti chiamate linfochine.
IL LINFOMA
È un tipo di tumore che si può sviluppare quando si verifica un errore nella produzione dei linfociti. Come risultato, si ha una cellula anomala che diventa tumorale a causa di una velocissima ed infinita replicazione. Queste cellule perdono la capacità di andare incontro a “morte programmata” (apoptosi) e possono accumularsi nei linfonodi dando così origine a tumori e provocando l’ingrossamento dei linfonodi.
Come i linfociti normali, anche quelli maligni possono svilupparsi in diverse parti del corpo come linfonodi, milza, midollo osseo, sangue o altri organi.
Le cause esatte del linfoma rimangono ancora sconosciute. Tuttavia, la ricerca si sta focalizzando su alcuni fattori che possono contribuire allo sviluppo del linfoma, quali fattori genetici, un indebolimento del sistema immunitario ed alcuni virus come l’HIV.
ESISTONO DUE TIPI DI TUMORE DEL SISTEMA LINFATICO:
LINFOMA DI HODGKIN (o Morbo di Hodgkin, dal nome del medico che per primo lo individuò nel 1832), caratterizzato dalla presenza di un particolare tipo di cellule tumorali, le cosiddette cellule di Reed Sternberg, non rilevabili nelle altre forme di linfoma;
LINFOMI NON-HODGKIN (LNH) che rappresentano la categoria più comune e diffusa. Esistono più di 30 tipi diversi di linfomi Non-Hodgkin, i quali vengono solitamente distinti in due gruppi, a seconda della rapidità di crescita del tumore:
- indolenti (basso grado di malignità): le cellule tumorali si dividono e si moltiplicano lentamente, rendendo difficoltosa la diagnosi iniziale. I pazienti affetti da questi linfomi possono convivere con la malattia per molti anni, ma le terapie standard non sono in grado di contrastare la malattia quando già si trova in uno stadio avanzato. La forma indolente, a sviluppo lento, rappresenta il 45% dei linfomi Non-Hodgkin;
- aggressivi (grado di malignità medio-alto): le cellule tumorali si dividono e si moltiplicano rapidamente e, se non trattato, il linfoma può essere fatale nel giro di sei mesi-due anni. La forma aggressiva, o a crescita rapida, che si presenta in circa il 55% dei pazienti con linfoma Non-Hodgkin, è quella più sensibile alle terapie.
I SINTOMI
La sintomatologia dei linfomi è molto variabile: a volte sono asintomatici, a volte compaiono con sintomi molto generici, come febbre, sudorazione intensa (soprattutto notturna), dimagrimento, spossatezza e prurito persistente in tutto il corpo.
Non esistono test per diagnosticare precocemente il linfoma Non-Hodgkin e la biopsia sul linfonodo è l'unico metodo che consente una diagnosi accurata del linfoma. Il linfonodo deve essere prelevato per intero per consentire l’analisi di tutta la struttura ghiandolare e per definire nel modo più preciso il tipo istologico (istotipo) del linfoma ovvero la “carta d’identità del tumore”. Dal tipo di linfoma deriva l’aggressività clinica della malattia e, di conseguenza, la terapia.
Nei casi in cui i linfonodi sono presenti esclusivamente in una sede profonda, come l’addome e il torace, per formulare una diagnosi è necessario un intervento chirurgico in sede addominale (laparotomia o laparoscopia) o toracica (toracotomia o broncoscopia o mediastinoscopia).
Una volta individuato il tipo di linfoma è opportuno conoscerne la sua diffusione. Può essere infatti colpita una singola sede linfonodale oppure più sedi. Mediante una serie di accertamenti diagnostici di laboratorio (esami del sangue), radiologici (TAC, PET, ecografia, esami radiologici tradizionali) e, ove necessario, endoscopici è possibile definire la diffusione della malattia e classificarla in stadi.
LE TERAPIE CONTRO I LINFOMI
Le linee di trattamento per il linfoma sono molteplici e la scelta della terapia dipende da diversi fattori, tra cui la classificazione istologica (individuazione del tipo di linfoma), lo stadio di avanzamento del linfoma e l’età del paziente.
È importante considerare tali fattori nel momento della scelta dello specifico regime terapeutico per il singolo paziente. Il tipo esatto di terapia che viene prescritta dipende da tre fattori fondamentali.
1. STADIO
Ci sono quattro stadi di linfoma Non-Hodgkin secondo la Classificazione Ann Arbor, che si basa sulla diffusione del tumore nell’organismo:
- Stadio I: il tumore coinvolge un’area localizzata, spesso un singolo linfonodo e la regione circostante. Tipicamente non ci sono sintomi;
- Stadio II: il tumore coinvolge più di un linfonodo da una parte del diaframma o una regione linfonodale, più un’area o un organo nelle vicinanze;
- Stadio III: il tumore coinvolge regioni linfonodali da entrambi i lati del diaframma e un organo o un’area vicino ai linfonodi, la milza o un altro organo;
- Stadio IV: il tumore coinvolge uno o più organi e il midollo osseo oppure la pelle.
2. DIMENSIONI
I tumori più grandi (con un diametro >7 cm o >10 cm) sono detti “bulky”.
Tipo di linfomi
Poiché le due forme principali di linfoma Non-Hodgkin (aggressivo e indolente) hanno prognosi molto differenti, sono diverse le strategie terapeutiche:
- Il linfoma aggressivo (grado medio/alto) si divide e si moltiplica rapidamente nell’organismo e, se non viene trattato, può essere fatale entro sei mesi. Se viene trattato, la sopravvivenza mediana è di 5 anni, con il 30-40% dei pazienti che ottiene una remissione. I pazienti diagnosticati e trattati negli stadi iniziali della forma aggressiva hanno maggiori probabilità di guarire e sono meno soggetti a successive ricadute. Poiché la guarigione è una possibilità reale, il trattamento è più aggressivo. Tradizionalmente, il trattamento per il linfoma Non-Hodgkin aggressivo è stato la chemioterapia standard CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) e/o chemioterapia ad alto dosaggio con trapianto autologo. L’utilizzo dell’anticorpo monoclonale rituximab in combinazione con la chemioterapia standard (CHOP) è stato approvato dalle autorità regolatorie europee nel 2002. L’approvazione, basata sui risultati di uno studio randomizzato di fase III che ha dimostrato un prolungamento della sopravvivenza e un miglioramento delle possibilità di cura per i pazienti trattati con il trattamento combinato rispetto alla sola chemioterapia CHOP, ha portato l’utilizzo di rituximab + CHOP a diventare il nuovo standard terapeutico per i pazienti con linfoma Non-Hodgkin aggressivo.
- Il linfoma indolente (basso grado)
si divide e moltiplica nell’organismo più lentamente, rendendo più difficile la diagnosi iniziale. I pazienti possono convivere molti anni con la malattia, ma a differenza della forma aggressiva non esiste possibilità di cura con i trattamenti standard. Generalmente, i pazienti hanno alte percentuali di risposta al primo ciclo di trattamento, seguiti da diverse ricadute. Tipicamente, un paziente con forma indolente viene trattato cinque o sei volte e di solito il tasso di risposta è progressivamente inferiore con il susseguirsi dei cicli terapeutici. La sopravvivenza mediana di questa forma – nella quale i pazienti alla fine muoiono per la patologia o le sue complicazioni – è circa di 6-10 anni. Ad agosto 2004 le autorità europee hanno approvato rituximab in combinazione con la chemioterapia CVP come trattamento di prima linea per il linfoma indolente. L’approvazione si è basata sui dati di uno studio randomizzato di fase III che ha confrontato rituximab in combinazione con chemioterapia CVP (ciclofosfamide, vincristina e prednisolone) rispetto alla sola chemioterapia CVP; i risultati di questo studio e di altri studi di associazione del farmaco con altri schemi polichemioterapici hanno dimostrato che la combinazione migliora in maniera significativa la sopravvivenza globale (Overall Survival), il tempo al fallimento della terapia (Time to Treatment Failure - TTF), il tempo alla progressione della malattia (Time to Progression - TTP), la percentuale di risposta globale (Overall Response Rate - ORR) e la percentuale di risposta completa (Complete Response Rate - CR) rispetto al trattamento con la sola chemioterapia.
Le principali linee d'azione, che possono essere seguite singolarmente o in combinazione l'una con l'altra, sono:
WATCH AND WAIT
“Watch and Wait”, ovvero “Osserva e Aspetta”: è la fase di malattia in cui non s’interviene con i farmaci e si applica solo a particolari tipi di linfoma indolente, in assenza di sintomatologia sistemica e di malattia in fase di progressione.
Durante tale periodo, i pazienti si sottopongono a regolari visite mediche specialistiche e sono sottoposti ad accertamenti periodici (esami del sangue o radiologici). Vengono inoltre informati su quali sintomi debbano essere immediatamente comunicati al medico in quanto richiedono l’inizio di un approccio terapeutico.
RADIOTERAPIA
La radioterapia consiste nell'uso di raggi X ad alta energia nell’area dove sono localizzate le cellule tumorali allo scopo di distruggerle e ridurre le dimensioni del tumore. Attualmente viene impiegata solo in associazione alla chemioterapia, come terapia di consolidamento.
CHEMIOTERAPIA
I farmaci chemioterapici distruggono le cellule tumorali e anche quelle normali interferendo nella loro attività di replicazione. La somministrazione può essere per via endovenosa o orale. Il tipo di chemioterapia utilizzato dipende dal tipo di linfoma. Alcuni farmaci chemioterapici sono utilizzati singolarmente, ma solitamente viene adottata un’associazione di più farmaci.
L’impiego di chemioterapia ad alte dosi prevede il trapianto di cellule staminali (cellule allo stadio iniziale di sviluppo), cioè la sostituzione delle cellule ematiche, distrutte da una chemioterapia, con cellule staminali ematiche sane, raccolte dal midollo emopoietico o dal sangue periferico.
Esistono due tipi di trapianto: autologo, nel caso in cui le cellule staminali siano prelevate dal paziente stesso prima della chemioterapia ad alte dosi; allogenico, nel caso siano di un donatore compatibile (questo secondo tipo di trapianto non è frequente nel trattamento del linfoma Non-Hodgkin).
La possibilità di disporre di cellule staminali permette di eseguire una chemioterapia più aggressiva.
La chemioterapia viene spesso associata ad altri tipi di trattamento.
In questi ultimi anni sono state messe a punto nuove soluzioni terapeutiche particolarmente efficaci che consistono nell’associazione di chemioterapia e anticorpo monoclonale rituximab (immuno-chemioterapia).
L’associazione dell’anticorpo monoclonale con la chemioterapia permette una sinergia d’azione. Inoltre l’anticorpo monoclonale “sensibilizza” le cellule tumorali all’azione della chemioterapia, aumentandone l’effetto.
ANTICORPI MONOCLONALI
L’anticorpo monoclonale rituximab associato alla chemioterapia rappresenta oggi la terapia standard del linfoma Non-Hodgkin indolente e aggressivo ed ha consentito di aumentare di gran lunga le possibilità di sopravvivenza dei pazienti.
Gli anticorpi monoclonali sono proteine frutto dell’ingegneria genetica che riconoscono e si legano ad un target specifico detto “antigene”, una proteina sulla superficie della cellula di linfoma. Dopo essersi legato al bersaglio, l'anticorpo monoclonale è in grado di uccidere la cellula tumorale reclutando il sistema immunitario dell’individuo stesso. Pertanto gli anticorpi monoclonali vengono usati come “proiettili intelligenti” per colpire le cellule tumorali, senza distruggere quelle sane dell’organismo (a differenza della chemioterapia).
Rituximab, in particolare, è un anticorpo monoclonale terapeutico che agisce legandosi selettivamente ad una proteina particolare – l’antigene CD20 – sulla superficie della cellula B normale e maligna. Questo legame attiva le difese naturali dell’organismo per attaccare e uccidere le cellule B. Le cellule staminali (progenitrici delle cellule B) nel midollo osseo non hanno l’antigene CD20: ciò consente alle cellule B sane di rigenerarsi in seguito al trattamento e ritornare a livelli normali in pochi mesi.
Le cellule B sono uno dei due principali tipi di linfociti coinvolti nella protezione dell’organismo da virus e batteri e circa il 90% di tutti i casi di linfoma Non-Hodgkin (LNH) sono dovuti ad anomalie proprio in questo tipo di cellule. A differenza dei trattamenti tradizionali per il LNH che attaccano le cellule tumorali ma danneggiano anche quelle sane, il rituximab agisce prendendo come bersaglio solamente le cellule B.
Sino ad oggi, i pazienti in tutto il mondo hanno ricevuto più di due milioni di trattamenti con questo farmaco. Dall’introduzione di rituximab dieci anni fa, il primo anticorpo monoclonale autorizzato per il trattamento del linfoma Non-Hodgkin, la sopravvivenza dei pazienti è migliorata.
L’introduzione della terapia con anticorpi monoclonali specifici diretti in maniera mirata sulle cellule tumorali in combinazione alla chemioterapia (immuno-chemioterapia) ha migliorato sensibilmente il decorso e la possibilità di guarigione di questa tipologia di linfoma consentendo ai pazienti di vivere più a lungo senza malattia e, in molti casi, di guarire.
In particolare nel linfoma diffuso a grandi cellule, il più comune tra i linfomi aggressivi, più del 60% dei malati trattati con immunochemioterapia a 5 anni dall’inizio del trattamento non presenta malattia.
Anche per il linfoma follicolare, il più comune tra i linfomi indolenti, ci sono nuove prospettive di cura: grazie all’immunoterapia associata alla chemioterapia, infatti, i pazienti affetti da linfoma follicolare possono mantenere intervalli liberi da malattia statisticamente più lunghi rispetto a quelli ottenuti con la sola chemioterapia, prolungando così la remissione della malattia e ritardando o prevenendo nuove ricadute.
Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa