"Abbiamo sviluppato - spiega il Prof. Mauro Giacca, medico ricercatore e direttore del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB)- una tecnica di microscopia sofisticata che permette di capire dove va a finire il Dna del virus. L’abbiamo trovato tutto nella periferia del nucleo, vicino ai pori nucleari, ovvero alle porte di ingresso attraverso cui le molecole entrano e escono dal nucleo".
IL CONGRESSO - La scoperta è stata presentata durante la VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar), organizzato dai presidenti del Congresso Cristina Mussini, Laura Sighinolfi e Andrea Cossarizza, che si è conclusa ieri a Riccione, con oltre 1200 partecipanti, di cui 800 specialisti presso il Palazzo dei Congressi. L'evento pone all'attenzione della comunità scientifica la necessità di individuare percorsi di diagnosi e cura dell'infezione da HIV che si basino sulle interazioni tra ricerca di base, ricerca diagnostico-clinica ed esigenze delle persone sieropositive. Oltre alla medicina di genere, declinata non solo al femminile, e la resistenza naturale all'infezione da HIV, anche la comprensione di nuove strategie di eradicazione.
LA SCOPERTA - La ricerca del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie di Trieste ha scoperto dove il virus dell'Hiv si insidia una volta arrivato nelle cellule infettate. Ricordiamo che la caratteristica di questo virus è quello di integrare il proprio patrimonio genetico in quello della cellula infettata: in parole povere, anziché avere ventimila geni come tutte le nostre cellule, la cellula infettata ha qualcosa in più, il Dna del virus.
"Abbiamo sviluppato - spiega il Prof. Mauro Giacca, medico ricercatore e direttore del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (ICGEB) - una tecnica di microscopia sofisticata che permette di capire dove va a finire il Dna del virus. L’abbiamo trovato tutto nella periferia del nucleo, vicino ai pori nucleari, ovvero alle porte di ingresso attraverso cui le molecole entrano e escono dal nucleo. Il virus sfrutta il passaggio attraverso queste porte e, non appena entrato nel nucleo, va a integrare il proprio Dna in quello della cellula”.
Questo è con ogni probabilità il motivo per cui la replicazione del virus, una volta raggiunto questo punto preciso, si spegne. In questa maniera, la cellula che contiene il virus sfugge al sistema immunitario e diventa insensibile ai farmaci. Questi ultimi sono molto efficaci nel bloccare la malattia e quindi nel mantenere il paziente apparentemente sano, ma sono totalmente inefficaci nell’eliminare il virus. Ecco perché, dei 65 milioni di persone infettate a partire dagli anni ’60 ad oggi, nessuno è mai guarito definitivamente.
"Lo studio è un passaggio importante che permette di definire nuovi bersagli per la sperimentazione di farmaci", aggiunge il Prof. Andrea Cossarizza, uno dei presidenti del congresso. "Il contributo del Prof. Giacca apre nuovi scenari per la comprensione di un momento chiave del ciclo replicativo del virus all'interno della cellula. La scoperta di un nuovo meccanismo, oltre a evidenziare la qualità della ricerca italiana (sempre in affanno per la cronica mancanza di fondi), apre nuove prospettive di grande interesse".
“Adesso che noi sappiamo con quali fattori il virus interagisce, sarà possibile preparare farmaci mirati a bloccare l’integrazione del Dna del virus. Questi potrebbero consentire l'eradicazione definitiva dell'infezione", conclude il Prof. Mauro Giacca.
HIV TEST E PREVENZIONE E CURE...
TEST E PREVENZIONE - Resta il problema del “sommerso”, ovvero di coloro che ignorano di essere infetti, è una questione comune a tutti i Paesi, poiché l’infezione da HIV è asintomatica nella maggioranza dei casi. Si tratta di quelle persone che hanno dimenticato di essere a rischio, in quanto stanno bene e non vanno a fare il test, e delle generazioni più giovani, che non si sentono in dovere di fare il test perché non hanno paura della malattia.
Negli anni ’80 e ’90, i soggetti maggiormente coinvolti erano tossicodipendenti, omosessuali e persone che avevano rapporti promiscui, anche eterosessuali. Oggi, il comportamento maggiormente a rischio per il sommerso sono i rapporti omosessuali tra giovani maschi; discorso a parte va fatto per gli immigrati, il cui discorso è complesso in quanto rappresentano il sommerso per eccellenza, mentre le diverse caratteristiche etniche e la provenienza geografica generano notevoli differenze per il rischio di infezione.
“Bisogna stimolare le persone, oltreché con la campagna di informazione/prevenzione, soprattutto all’esecuzione dei test” sottolinea ancora il professor Lazzarin. “E’ necessario rivolgersi a singoli, in particolare ai giovani”. Spesso i metodi più semplici vengono ignorati: per chi ha raggiunto una certa età, il test dell’HIV può essere effettuato assieme a quello delle malattie più comuni. I più giovani, che sono anche i meno motivati, devono essere sollecitati e avere a disposizione strumenti semplici, come il moderno test salivale, in uso anche per l’epatite C.
Un nuovo modello di cooperazione tra gli stati membri con un progetto denominato EDCTP Plan permetterà a breve un nuovo slancio per il reperimento dei fondi, a garanzia della salute globale e della ricerca- annuncia Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’ISS.
CI SONO LE CURE, NON UN VACCINO. Ad oggi, un vaccino per l’HIV non esiste. E’ stata una chimera inseguita dai primi ricercatori più negli anni ‘80. Come spiega il professor Lazzarin “il problema principale è che un vaccino facile da costruire si ricava da un anticorpo che inattiva il virus e lo blocca; per l’HIV ciò non può essere realizzabile, poiché gli anticorpi neutralizzanti, laddove esistano, non sono in grado di bloccare l’infezione una volta che è entrata nella cellule. Quindi il problema di non acquisire l’infezione si può risolvere cercando di far produrre anticorpi contro il virus, ma ad oggi nessun anticorpo da solo sembra in grado di neutralizzare l’infezione”.
Si possono dunque solamente potenziare le difese immunitarie contro il virus. Con la cosiddetta vaccinazione terapeutica e non preventiva che viene aperta una finestra sul rafforzamento delle risposte immunitarie attraverso le cellule che generano anticorpi: l’organismo sottoposto alla vaccinazione riuscirebbe così a potenziare la capacità di produrre anticorpi attraverso lo stimoli di cellule dendritiche. Le cellule dendritiche sono le prime colpite dall’infezione, che poi passano ai linfociti. Il risultato delle dimostrazioni effettuate finora non ha però mostrato il vaccino come un obiettivo facilmente perseguibile. In merito a quegli studi internazionali che prefigurano risultati rivoluzionari dunque si può essere ottimisti, ma con molta cautela.
Fonte: Studio Diessecom