Glicogenosi epatica
Descrizione
Per oltre quarant'anni la vita di Anna è dipesa da una sveglia che ogni due ore le ricordava di mangiare maltodestrine, cioè degli zuccheri, anche nel cuore della notte. Tutta colpa della Glicogenosi IA, una malattia metabolica ereditaria che rende il fegato incapace di liberare nel sangue il glucosio immagazzinato: se non si introducono zuccheri semplici con regolarità, si rischia l'ipoglicemia e il coma.
Da tre mesi, però, grazie a una terapia rivoluzionaria, per la giovane donna è iniziata una nuova vita, una vita normale. Non ha ricevuto un trapianto di fegato, ma una specie di "trasfusione" di cellule epatiche sane, prelevate da un fegato "marginale", cioè non trapiantabile perchè danneggiato da un trauma. L'intervento, realizzato per la prima volta in Europa a Padova, ha innaugurata una nuova strategia per affrontare la cura di varie malattie metaboliche ereditarie.
"All'origine di questa patologia - spiega i ldottor Alberto Burlina della Clinica Pediatrica - c'è un'informazione sbagliata nel DNA, cosè nelle cellule del fegato manca un enzima, che permette di trasformare un composto in un altro e, come succede anche in un orologio, tutto risulta sballato".
La tecnica di quest'intervento, realizzato solo in altre tre persone negli Usa, è stata approntata dall'èquipe del professor Maurizio Muraca, che ha individuato nella vena porta, l'ingresso preferenziale per infondere direttamente nel fegato le cellule sane. In questo modo non solo si diminuiscono i rischi del trapianto "classico", ma visto il basso numero di cellule epatiche necessarie per ogni intervento (2 miliardi), si ipotizza di poter intervenire con un solo organo, su più persone, a patto che esista compatibilità.
Come per tutti i trapianti, c'è il rischio di rigetto, ma gli esperti sono ottimisti: se non dovessero funzionare le cellule trasfuse, il fegato tornerebbe a lavorare come prima dell'intervento.
Non si esclude, inoltre, la possibilità che questa terapia possa essere una sorta di "ponte" al trapianto, come alternativa al fegato bioartificiale, che studiato e sperimentato da più d'un anno Padova, sostituisce le funzioni del fegato nei pazienti in attesa di trapianto.
La scommessa del futuro è di intervenire con questa tecnica per curare le molte patologie metaboliche ereditarie a carico del fegato: siamo solo all'inizio, un inizio incoraggiante, visto che la giovane donna di Padova ha decisamente migliorato la qualità della vita e reagisce molto bene alla terapia anti-rigetto.
EPATITI
E ora si pensa anche alle "staminali"
La tecnica d'infusione di cellule direttamente nel fegato potrebbe essere utilizzata, in futuro non solo per le malattie metaboliche ma anche per trattare altre gravi patologie epatiche, quali cirrosi dovute a epatiti B o C e chiaramente nell'epatite fulminante.
La carenza di organi da trapiantare rende ragione della continua ricerca di terapie alternate, che possano almeno fare "da ponte" al trapianto stesso.
"La gravità di queste patologie - spiega il professor Maurizio Muraca, di Padova - non dà il tempo per poter programmare un intervento, a meno di avere a disposizione una "banca di epatociti" a cui attingere. Per questo preferiamo circoscrivere questo tipo d'intervento in caso di malattie metaboliche".
A frenare la corsa degli scienziati è la difficile conservazione delle cellule epatiche isolate da un organo.
"Da anni esiste una collaborazione internazionale per studiare un metodo che garantisca la perfetta conservazione di queste cellule" spiegano Maria Teresa Vilei e Anna Granato, entrambe ricercatrici dell'università di Padova.
"Al momento riusciamo a mantenere funzionali gli epatociti per qualche mese, un tempo insufficiente per poter parlare di banca". In base a degli studi recenti si è scoperto però che esiste un'alternativa alla "banca di epatociti" grazie alle cellule staminali.
Queste cellule si trovano nel midollo osseo e hanno dimostrato di essere in grado di assumere le caratteristiche delle cellule del tessuto con cui si trovano a contatto, in altre parole, una volta che le cellule staminali si trovano accanto a un tessuto epatico, diventano e si comportano come le cellule del fegato.
A differenza degli epatociti, queste cellule del midollo, non solo si possono conservare con maggior facilità, ma sono in grado di riprodursi anche in vitro. cioè fuori del corpo umano.
Al momento la ricerca percorre le due vie parallele, continuando a sperimentare su modelli animali.
Che cos'è la glicogenosi epatica
La glicogenosi epatica è una malattia genetica causata dalla mancanza di un enzima, la Glucosio-6-Fosfatasi, una proteina in grado di liberare il glucosio immagazzinato nell'organo.
Quest'operazione è molto importante per mantenere costate il livello di zuccheri nel sangue. Chi soffre di glicogenosi epatica infatti, se non introduce glucosio o maltodestrine ogni due o tre ore, rischia l'ipoglicemia e il coma. Il problema, quindi, non è solo biologico ma soprattutto di qualità della vita che procede di due ore in due ore. La malattia si manifesta sin dai primi mesi di vita. A livello organico queste persone manifestano: bassa statura, facili sanguinamenti e una possibile sofferenza delle cellule nervose (molto sensibili a episodi di ipoglicemia). La diagnosi certa si ha con un semplice esame del sangue.
Basta, infatti, dosare la concentrazione dell'enzima in questione nei globuli rossi. Importante fare una diagnosi precoce: l'ipoglicemia che caratterizza la malattia può causare la morte improvvisa. Un recente studio ha dimostrato che il due per cento delle morti in culla sono dovute a questa patologia con cui è possibile convivere a patto di mangiare maltodestrine cioè glucosio ogni due o tre ore svegliandosi anche di notte.
Per oltre quarant'anni la vita di Anna è dipesa da una sveglia che ogni due ore le ricordava di mangiare maltodestrine, cioè degli zuccheri, anche nel cuore della notte. Tutta colpa della Glicogenosi IA, una malattia metabolica ereditaria che rende il fegato incapace di liberare nel sangue il glucosio immagazzinato: se non si introducono zuccheri semplici con regolarità, si rischia l'ipoglicemia e il coma.
Da tre mesi, però, grazie a una terapia rivoluzionaria, per la giovane donna è iniziata una nuova vita, una vita normale. Non ha ricevuto un trapianto di fegato, ma una specie di "trasfusione" di cellule epatiche sane, prelevate da un fegato "marginale", cioè non trapiantabile perchè danneggiato da un trauma. L'intervento, realizzato per la prima volta in Europa a Padova, ha innaugurata una nuova strategia per affrontare la cura di varie malattie metaboliche ereditarie.
"All'origine di questa patologia - spiega i ldottor Alberto Burlina della Clinica Pediatrica - c'è un'informazione sbagliata nel DNA, cosè nelle cellule del fegato manca un enzima, che permette di trasformare un composto in un altro e, come succede anche in un orologio, tutto risulta sballato".
La tecnica di quest'intervento, realizzato solo in altre tre persone negli Usa, è stata approntata dall'èquipe del professor Maurizio Muraca, che ha individuato nella vena porta, l'ingresso preferenziale per infondere direttamente nel fegato le cellule sane. In questo modo non solo si diminuiscono i rischi del trapianto "classico", ma visto il basso numero di cellule epatiche necessarie per ogni intervento (2 miliardi), si ipotizza di poter intervenire con un solo organo, su più persone, a patto che esista compatibilità.
Come per tutti i trapianti, c'è il rischio di rigetto, ma gli esperti sono ottimisti: se non dovessero funzionare le cellule trasfuse, il fegato tornerebbe a lavorare come prima dell'intervento.
Non si esclude, inoltre, la possibilità che questa terapia possa essere una sorta di "ponte" al trapianto, come alternativa al fegato bioartificiale, che studiato e sperimentato da più d'un anno Padova, sostituisce le funzioni del fegato nei pazienti in attesa di trapianto.
La scommessa del futuro è di intervenire con questa tecnica per curare le molte patologie metaboliche ereditarie a carico del fegato: siamo solo all'inizio, un inizio incoraggiante, visto che la giovane donna di Padova ha decisamente migliorato la qualità della vita e reagisce molto bene alla terapia anti-rigetto.
EPATITI
E ora si pensa anche alle "staminali"
La tecnica d'infusione di cellule direttamente nel fegato potrebbe essere utilizzata, in futuro non solo per le malattie metaboliche ma anche per trattare altre gravi patologie epatiche, quali cirrosi dovute a epatiti B o C e chiaramente nell'epatite fulminante.
La carenza di organi da trapiantare rende ragione della continua ricerca di terapie alternate, che possano almeno fare "da ponte" al trapianto stesso.
"La gravità di queste patologie - spiega il professor Maurizio Muraca, di Padova - non dà il tempo per poter programmare un intervento, a meno di avere a disposizione una "banca di epatociti" a cui attingere. Per questo preferiamo circoscrivere questo tipo d'intervento in caso di malattie metaboliche".
A frenare la corsa degli scienziati è la difficile conservazione delle cellule epatiche isolate da un organo.
"Da anni esiste una collaborazione internazionale per studiare un metodo che garantisca la perfetta conservazione di queste cellule" spiegano Maria Teresa Vilei e Anna Granato, entrambe ricercatrici dell'università di Padova.
"Al momento riusciamo a mantenere funzionali gli epatociti per qualche mese, un tempo insufficiente per poter parlare di banca". In base a degli studi recenti si è scoperto però che esiste un'alternativa alla "banca di epatociti" grazie alle cellule staminali.
Queste cellule si trovano nel midollo osseo e hanno dimostrato di essere in grado di assumere le caratteristiche delle cellule del tessuto con cui si trovano a contatto, in altre parole, una volta che le cellule staminali si trovano accanto a un tessuto epatico, diventano e si comportano come le cellule del fegato.
A differenza degli epatociti, queste cellule del midollo, non solo si possono conservare con maggior facilità, ma sono in grado di riprodursi anche in vitro. cioè fuori del corpo umano.
Al momento la ricerca percorre le due vie parallele, continuando a sperimentare su modelli animali.
Che cos'è la glicogenosi epatica
La glicogenosi epatica è una malattia genetica causata dalla mancanza di un enzima, la Glucosio-6-Fosfatasi, una proteina in grado di liberare il glucosio immagazzinato nell'organo.
Quest'operazione è molto importante per mantenere costate il livello di zuccheri nel sangue. Chi soffre di glicogenosi epatica infatti, se non introduce glucosio o maltodestrine ogni due o tre ore, rischia l'ipoglicemia e il coma. Il problema, quindi, non è solo biologico ma soprattutto di qualità della vita che procede di due ore in due ore. La malattia si manifesta sin dai primi mesi di vita. A livello organico queste persone manifestano: bassa statura, facili sanguinamenti e una possibile sofferenza delle cellule nervose (molto sensibili a episodi di ipoglicemia). La diagnosi certa si ha con un semplice esame del sangue.
Basta, infatti, dosare la concentrazione dell'enzima in questione nei globuli rossi. Importante fare una diagnosi precoce: l'ipoglicemia che caratterizza la malattia può causare la morte improvvisa. Un recente studio ha dimostrato che il due per cento delle morti in culla sono dovute a questa patologia con cui è possibile convivere a patto di mangiare maltodestrine cioè glucosio ogni due o tre ore svegliandosi anche di notte.
Terapia
I tre passi della cura
1 - Estrazione
Un fegato "marginale", cioè non adatto al trapianto al laboratorio, e da esso viene astratta una soluzione in cui sono presenti cellule epatiche.
2 - Purificazione
Si ottiene una sostanza cellulare che viene purificata per successivi lavaggi e centrifugazioni. Si verificano vitalità e ftinzionalità delle cellule epatiche isolate; se sono adeguate, il paziente viene avviato alla sala operatoria. Si preparano i ccntenitori con la sospensione di cellule in liquido per infusione endovenosa.
3 - Inserimento
Si inserisce un catetere in una vena che porta il sangue al fegato e si inizia ad infondere la sospensione cellulare, controllando il flusso sanguigno e la pressione all'interno del fegato e graduando su queste basi la velocità di infusione. Si eseguono più cicli di infusione fino a raggiungere il numero totale di cellule desiderato; nel caso della prima paziente trattata sono stati eseguite due infusioni di un miliardo di cellule ciascuna nel giro di cinque ore.
I tre passi della cura
1 - Estrazione
Un fegato "marginale", cioè non adatto al trapianto al laboratorio, e da esso viene astratta una soluzione in cui sono presenti cellule epatiche.
2 - Purificazione
Si ottiene una sostanza cellulare che viene purificata per successivi lavaggi e centrifugazioni. Si verificano vitalità e ftinzionalità delle cellule epatiche isolate; se sono adeguate, il paziente viene avviato alla sala operatoria. Si preparano i ccntenitori con la sospensione di cellule in liquido per infusione endovenosa.
3 - Inserimento
Si inserisce un catetere in una vena che porta il sangue al fegato e si inizia ad infondere la sospensione cellulare, controllando il flusso sanguigno e la pressione all'interno del fegato e graduando su queste basi la velocità di infusione. Si eseguono più cicli di infusione fino a raggiungere il numero totale di cellule desiderato; nel caso della prima paziente trattata sono stati eseguite due infusioni di un miliardo di cellule ciascuna nel giro di cinque ore.