Marijuana per curare l'Alzheimer e altre patologie come AIDS, cancro, sclerosi multipla e glaucoma
La scoperta degli endocannabinoidi, le sostanze psicoattive prodotte naturalmente dall’organismo, spalanca alla ricerca orizzonti inediti per la prevenzione e cura della demenza.
Considerato che è lo stesso organismo a produrre naturalmente e in quantità molecole biologicamente assimilabili alla Marijuana, forse la legge sulle droghe leggere andrebbe rivista in qualche modo, nell’impossibilità di mettere in manette ogni sinapsi e neurone.
Col che non avrebbe più senso neppure la timidezza di non pochi italianissimi medici circa l’uso terapeutico della Cannabis giudicata, secondo pregiudizio e conformismo, pericolosa a tutto campo.
Ma nell’attesa che il legislatore tranquillizzi queste coscienze inquiete, suggerisce non senza polemica il biochimico dell’Università di Teramo Sergio Oddi, la scienza va avanti e le ultime ricerche restituiscono piena dignità alla canapa indiana, facendo del suo principale principio attivo THC (tetraidrocannabinolo) e delle altre decine di molecole affini (i fitocannabinoidi), una delle armi più promettenti nella lotta alle degenerazioni cerebrali in associazione con gli endocannabinoidi, ossia proprio quelle sostanze originate dal nostro corpo in grado di controllare virtualmente ogni processo fisiologico.
Atteso domani a Montecatini Terme al 9° Congresso nazionale su Centri Diurni Alzheimer, da neuro-scienziato in prima linea con alle spalle anche decine di pubblicazioni nelle principali riviste scientifiche internazionali Oddi riferirà sulle più avanzate frontiere della ricerca, comprese quelle in corso nei laboratori della Fondazione IRCCS Santa Lucia di Roma, centro di eccellenza europeo per gli studi sul cervello e la neuro-riabilitazione, dove opera da anni.
“Temere la cannabis è una solenne sciocchezza”, spiega intanto, “Da millenni è una pianta utilissima, sia come fibra tessile che come alimento, per tacere dei suoi effetti analgesici e ansiolitici abbinati a una bassissima tossicità (non sono noti casi di overdose da Marijuana). Oggi, per di più, è una miniera di sostanze farmacologiche. Il THC si è già rivelato prezioso per trattare i sintomi di numerose patologie, dall’AIDS al cancro, dalla sclerosi multipla al glaucoma. Ma ora sembra perfino capace di bloccare i processi neurodegenerativi e infiammatori legati alla proteina Amiloide Beta e all’origine del decadimento cerebrale associato all’Alzheimer”.
La scoperta degli endocannabinoidi sta in effetti dando vita a nuove generazioni di farmaci. Le ricerche in corso hanno fin qui appurato che queste sostanze agiscono come sistema in grado di ristabilire l’equilibrio interno dell’organismo: controllano l’eccitabilità neuronale a livello di varie sinapsi e offrono risposte neurochimiche e neuro-immunitarie a vari fattori di stress, inclusi quelli connessi con le patologie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Nei pazienti Alzheimer il sistema endocannabinoide risulta infatti significativamente alterato.
“A evitare troppo facili entusiasmi”, dice Oddi, “va ricordato che ad oggi abbiamo solo dati preliminari sul potenziale preclinico dei farmaci anti Alzheimer a base di cannabinoidi. Ma anche all’IRCCS i risultati dei nostri più recenti esperimenti su cavie animali sono molto promettenti. Dimostrano infatti che, manipolando opportunamente il sistema endocannabinoide per via farmacologica, ossia promuovendo meccanismi neuro-protettivi, si riesce ad attenuare e perfino a prevenire i processi neuro-infiammatori, la neuro-tossicità nonché il declino neuro-cognitivo”.
In altre parole: per la scienza i vari cannabinoidi, fito o endo che siano, hanno ormai un valore indiscutibile e i risultati sperimentali sul loro potenziale terapeutico, prodotti collettivamente in Italia e a livello internazionale, incoraggiano ulteriori ricerche.
Considerato che è lo stesso organismo a produrre naturalmente e in quantità molecole biologicamente assimilabili alla Marijuana, forse la legge sulle droghe leggere andrebbe rivista in qualche modo, nell’impossibilità di mettere in manette ogni sinapsi e neurone.
Col che non avrebbe più senso neppure la timidezza di non pochi italianissimi medici circa l’uso terapeutico della Cannabis giudicata, secondo pregiudizio e conformismo, pericolosa a tutto campo.
Ma nell’attesa che il legislatore tranquillizzi queste coscienze inquiete, suggerisce non senza polemica il biochimico dell’Università di Teramo Sergio Oddi, la scienza va avanti e le ultime ricerche restituiscono piena dignità alla canapa indiana, facendo del suo principale principio attivo THC (tetraidrocannabinolo) e delle altre decine di molecole affini (i fitocannabinoidi), una delle armi più promettenti nella lotta alle degenerazioni cerebrali in associazione con gli endocannabinoidi, ossia proprio quelle sostanze originate dal nostro corpo in grado di controllare virtualmente ogni processo fisiologico.
Atteso domani a Montecatini Terme al 9° Congresso nazionale su Centri Diurni Alzheimer, da neuro-scienziato in prima linea con alle spalle anche decine di pubblicazioni nelle principali riviste scientifiche internazionali Oddi riferirà sulle più avanzate frontiere della ricerca, comprese quelle in corso nei laboratori della Fondazione IRCCS Santa Lucia di Roma, centro di eccellenza europeo per gli studi sul cervello e la neuro-riabilitazione, dove opera da anni.
“Temere la cannabis è una solenne sciocchezza”, spiega intanto, “Da millenni è una pianta utilissima, sia come fibra tessile che come alimento, per tacere dei suoi effetti analgesici e ansiolitici abbinati a una bassissima tossicità (non sono noti casi di overdose da Marijuana). Oggi, per di più, è una miniera di sostanze farmacologiche. Il THC si è già rivelato prezioso per trattare i sintomi di numerose patologie, dall’AIDS al cancro, dalla sclerosi multipla al glaucoma. Ma ora sembra perfino capace di bloccare i processi neurodegenerativi e infiammatori legati alla proteina Amiloide Beta e all’origine del decadimento cerebrale associato all’Alzheimer”.
La scoperta degli endocannabinoidi sta in effetti dando vita a nuove generazioni di farmaci. Le ricerche in corso hanno fin qui appurato che queste sostanze agiscono come sistema in grado di ristabilire l’equilibrio interno dell’organismo: controllano l’eccitabilità neuronale a livello di varie sinapsi e offrono risposte neurochimiche e neuro-immunitarie a vari fattori di stress, inclusi quelli connessi con le patologie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Nei pazienti Alzheimer il sistema endocannabinoide risulta infatti significativamente alterato.
“A evitare troppo facili entusiasmi”, dice Oddi, “va ricordato che ad oggi abbiamo solo dati preliminari sul potenziale preclinico dei farmaci anti Alzheimer a base di cannabinoidi. Ma anche all’IRCCS i risultati dei nostri più recenti esperimenti su cavie animali sono molto promettenti. Dimostrano infatti che, manipolando opportunamente il sistema endocannabinoide per via farmacologica, ossia promuovendo meccanismi neuro-protettivi, si riesce ad attenuare e perfino a prevenire i processi neuro-infiammatori, la neuro-tossicità nonché il declino neuro-cognitivo”.
In altre parole: per la scienza i vari cannabinoidi, fito o endo che siano, hanno ormai un valore indiscutibile e i risultati sperimentali sul loro potenziale terapeutico, prodotti collettivamente in Italia e a livello internazionale, incoraggiano ulteriori ricerche.
Fonte: Catola & Partners